China, di Maria Pia Quintavalla, Milano, Effigie, 2010
Così, nel Dopo il Moderno, insieme alle Grandi narrazioni si è venuta a sgretolare anche la sicurezza di un mondo stilistico maturo, raffinato, politropo, inquieto ma anche drammatico, convulso, contraddittorio, conflittuale del lontano Novecento. È rimasto (possiamo dirlo?) l’impalcatura dell’anima, le pareti, l’interno dell’anima – (di cui siamo forse usufruttuari o affittuari o tenutari?), mentre nessuna delle ideologie ufficiali ci possiede e altre ideologie (sussiegose e invisibili) penetrano osmoticamente e molecolarmente nel tessuto sociale e spirituale delle pieghe più nascoste dell’anima e delle masse, attraversano i tessuti stilistici (delle istituzioni stilistiche) neutralizzandoli con una altissima percentuale di radiazioni e raggi X; ecco, mentre tutto questo accadeva (ed accade) in questi ultimi anni del nuovo decennio, è avvenuto che lo sperimentalismo e le poetiche post-orfiche si siano spente senza neanche emettere singulti di visibilità e di vivacità e siamo di nuovo approdati ad una situazione nella quale il linguaggio poetico è stato abbassato tutto al livello della prosa, ossia del razionale, del logico, dello storico, dello scientifico, del ragionevole con conseguente riadozione di modi stilistici prenovecenteschi, ossia intimistici, lirici, egolalici, monarchici, etc.
La storia è diventata un «ricordo» da rammemorare…La Grande Storia è diventata un ricordo da dimenticare …e così via…Così, ci siamo ritrovati (noi tutti abitanti degli anni Dieci) catapultati nella contemporaneità… e abbiamo scoperto che sotto la coltre di un «mondo stilistico maturo», c’era un campionario di «oggetti» accreditati (in poesia), c’era un campionario di prodotti vintage, c’era uno stile dichiarativo idoneo alla presentazione di quegli «oggetti», c’era un abbassamento del linguaggio poetico «al livello della prosa».
C’era tutto un campionario di ideologie e di strumenti stilistici che conferivano una copertura a quegli oggetti e a quelle tematiche. C’era ancora chi vivacchiava (e ancora sopravvive) all’ombra di un «mondo stilistico maturo» (di cui percepisce tuttora una rendita di posizione e una riconoscibilità), così come oggi c’è chi si accontenta di percorrere i sentieri già tracciati (e stracciati) seguendo (come un segugio?) le orme di chi lo ha preceduto, nella scia di una tradizione stilistica che consentiva una riconoscibilità; c’è anche chi crede che oggi la questione centrale sia di abbassare la lingua della poesia «tutta al livello della prosa», quando invece i registri stilistici sono caduti così in basso che non vedo proprio come possano andare ancora più giù.
E invece oggi (è bene dirlo) la questione è incommensurabilmente più complessa per la semplice ragione che nel frattempo la crisi del discorso lirico si è accentuata e la crisi di de-territorializzazione del «soggetto» miete continuamente vittime e consensi. Sì, probabilmente è oggi diffuso un rimpianto, una certa nostalgia per quel «mondo stilistico maturo» (per quelle tematiche prestabilite!) che è scomparso, tramontato per sempre, con le sue certezze, le sue idiosincrasie e le sue invettive e le sue aporie…
Il romanzo familiare, il libro del lessico familiare di Maria Pia Quintavalla è un po’ il risultato e il contro risultato di tutto ciò: c’è nel libro tutto un mondo scomparso (Fausto Coppi, Tognazzi, Vianello, Walter Chiari, Mike Buongiorno, Calindri, Mario Riva, il tenente Sheridan la Campanini, Roma, Milano, il cinema, Stanlio e Onlio, Charlot, Il ponte sul fiume Kway, Hitler, Stalin e mille altre cose, cianfrusaglie, ammennicoli e cose amate e disamate), c’è tutto il «privato» familiare, ricostruito, decostruito e, per così dire, riverniciato, rovesciato, con un parlato basso e un metro libero vivo ed efficace che accompagna la moviola del ricordo e l’azione dei personaggi familiari. Un libro singolare-corale che vuole abbracciare tutto e tutti, la cineteca del ricordo e gli attori… il piccolo mondo e il grande mondo…
Giorgio Linguaglossa
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