Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Lino Angiuli
Inediti
Con nota di lettura di Adam Vaccaro
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Nota di poetica
La poesia mi ha dato la possibilità di parlare ad un ulivo, più di cinquantanni fa, per giungere oggi ad ascoltare la parola di un cappero. Tenere i piedi per terra per farli radicare nella storia; passare dall’ego all’eco; rimettere l’io dentro l’orizzonte del noi; superare il monolinguismo lirico e il culto della crisi tipico del Novecento: queste le mie attuali premure che mi spingono a guadagnare un’ottica sempre meno antropocentrica tramite una poetica che tempo fa chiamavo “dal basso verso l’alto” e che oggi chiamo “vegetalesimo”.
Lino Angiuli
Ciò
Ciò che da noi si chiama primavera
altro non è che il canto della Vita
con la maiuscola in quanto crociera
tra il rosolaccio e la volta infinita
tra un millepiedi ed una nube bianca
creäti con il fiato e con le dita
di quella mano che non è mai stanca
di stare in ogni dove dappertutto
e che senza rumore scalda affianca
quando anziché ricascare nel lutto
grazie al tepore l’aria si spalanca.
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Santo
Santo è il marrone che sa fare i figli
sfidando tra diluvi e maremoti
la legge che non cerca mica appigli
né fa ricorso a scribi sacerdoti
per dire in faccia a chiunque nossignore
attento a non restare tra gli idioti
che manco sanno cosa ha in testa un fiore
quando sbottona il corpo sotto il sole
patriarca di miracoli colore
sospinto a farsi strada fra le gole
scavate nella roccia dall’amore.
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Beato
Beato quel tizio che comprende il sole
pur mantenendo i piedi nella terra
sì da tenere fede alle parole
usate al catechismo d’anteguerra
quando le braccia cacciavano frutti
meglio di quelli nati in una serra
quando una mano valeva per tutti
più di un grandissimo supermercato
pieno di luci e paramenti brutti
ma sarà quella specie di passato
ad evitarci d’essere distrutti.
*
Nota Biobiblio
Lino Angiuli (1946) è nato e vive in Terra di Bari. In poesia ha pubblicato diverse raccolte in lingua italiana e dialettale: per ultima, Sud voce del verbo sudare (Moretti e Vitali 2022). La sua produzione poetica, trattata anche nell’ambito di enciclopedie, è oggetto di tesi di laurea e di corsi accademici. Ha anche pubblicato libri di racconti e di critica letteraria, e curato volumi dedicati alla salvaguardia del patrimonio demologico, con particolare riferimento alle manifestazioni della cultura orale. Collaboratore dei servizi culturali della Rai e di Quotidiani, ha fondato alcune riviste letterarie, tra le quali il semestrale «incroci», che condirige per l’editore Adda di Bari. Condirige anche la mostra fotoletteraria “Scatti di poesia”, giunta alla decima edizione.
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Nota di lettura
Prima di tutto la musica, cercata anche con le rime alternate di questi deliziosi testi, frutto di un radicamento profondo, del quale gli scrittori del Sud sanno farsi carne pulsante. Non posso non citare l’ultima opera di Lino Angiuli, Sud voce del verbo sudare, invenzione verbale e sintesi dolorosa-gioiosa di un concerto vitale collettivo, di una poesia che si fa vita e vita che si fa poesia, in un interscambio di energie che arricchisce entrambe.
La musica cercata non è però un’arpa di angeli e appagata di sé, ma eco – come sintetizza Lino nella sua nota di poetica – tra il Soggetto Scrivente e il Noi, oggi sempre più rarefatto e frantumato dalla china ideologica del pensiero unico dominante. Questa eco è densa perciò di resistenza antropologica, che è, se è voce di senso di comunità. Una comunità che non sia declamazione affettivo-retorica, ma concretezza esperienziale condivisa. E quale concretezza più viva se quel radicamento è convissuto e simbolicamente rappresentato dall’universo della flora vivente tra terra e cielo?
Angiuli conia così un termine che sintetizza questa sua visione, vegetalismo, che lega e alimenta l’umano a una tensione di equilibrio ecologico che oggi, quell’ideologia dominante suddetta – termine che suggerisce anche a me un piccolo gioco non gratuito, che cioè detta al Sud del Mondo e tende a ridurre in briciole, insieme alle ricchezze delle mille identità resistenti alla hybris della idolatria globalizzante.
I versi di Angiuli sono ricchi e vitali, perché suonano questa musica, di voce resistente contro tale illusoria terra appiattita su una uniformità piegata a interessi finanziari e commerciali, interessata solo ai nostri bisogni di consumatori, e non ai nostri sogni di essere umani:
“Ciò che da noi si chiama primavera/ altro non è che il canto della Vita/ con la maiuscola in quanto crociera/
tra il rosolaccio e la volta infinita”, “e che senza rumore scalda affianca/ quando anziché ricascare nel lutto/
grazie al tepore l’aria si spalanca.”, un senso di apertura e riappropriazione carico di una forza di rinascita, che o è collettiva, o non è, “sfidando tra diluvi e maremoti/ la legge che non cerca mica appigli né fa ricorso a scribi sacerdoti/ per dire in faccia a chiunque nossignore/ attento a non restare tra gli idioti”.
Per cui, “Beato quel tizio che comprende il sole/ pur mantenendo i piedi nella terra/ sì da tenere fede alle parole/…/ quando una mano valeva per tutti/ più di un grandissimo supermercato”, tra “…luci e paramenti brutti”, alla ricerca resistente di una radice di “passato/ ad evitarci d’essere distrutti.” “sospinto a farsi strada fra le gole/ scavate nella roccia dall’amore.”
Adam Vaccaro