L’impronta del tempo
Petr Halmay
Il Foglio Clandestino, 2007, pp 110, Є 8,00
Ha la più bella veste grafica che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni (vorrei potervi pubblicare io!!) questo L’impronta del tempo del poeta ceco Petr Halmay tradotto per la prima volta in Italia da Antonio Parente.
Non solo: l’edizione è con testo a fronte, cosi è possibile – per chi può – leggere anche l’originale.
In più: la pubblicazione partecipa alla campagna “Scrittori per le foreste” lanciata da Greenpeace.
Vale la pena anche segnalare il sito internet a cui poter fare riferimento, che è: www.edizionidelfoglioclandestino.it
Petr Halmay (pseudonimo di Petr Siktanc) nasce nel 1958. Suo padre è lo scrittore/poeta Karel Siktanc cui è stato lo Stato ha vietato assolutamente di pubblicare, interdizione che riguarderà poi entrambi (Halmay pubblicherà in patria solo nel 1991)
Ricordiamo che la Cecoslovacchia era uno stato dell’Europa orientale e che è esistito dal 1918 al 1992 e divisosi in due stati – Repubblica Ceca e Slovacchia – dopo il crollo dell’Unione Sovietica (la separazione è però stata “pacifica” ed è avvenuta il 1° Gennaio 1993, dopo quella che è stata definita la Rivoluzione di velluto). Diciamo che per Halmay si sono verificate le stesse condizioni che hanno condizionato il fotografo Jan Saudek a non operare né pubblicare (quest’ultimo arriverà al successo prima all’estero che in patria, avendo fatto espatriare il proprio materiale clandestinamente). Halmay supponiamo invece abbia aspettato o pubblicato – in patria – in clandestinità, alternandosi nel mentre con mestieri di varia natura: camionista, magazziniere, uomo delle pulizie, insegnante, macchinista e fontaniere. Dal 1998 lavora al Teatro nazionale di Praga come attrezzista-falegname.
Dal 1991 finalmente pubblica tranquillamente in patria e viene anche tradotto (e qui mi sovvengono solo le traduzioni in olandese, austriaco, francese, e questa, in italiano)
E’ una poesia fortemente critica, spesso verso quell’esatto gesto di creazione poetica che vede sé stesso scrivere, insoddisfazione che genera un dialogo denso, ove si cercano i fili che possano governare l’apparentemente inutile gesto dello scrivere ed il significato di quanto si scrive. A mio avviso sono anche ravvisabili tratti di una forte tensione e critica politica, metaforicamente celata dietro immagini allegoriche.
Non svelo altro. Credo che sia una delle novità più interessanti (per grafica e contenuto) del 2007.
Fabiano Alborghetti