Lo splendore del supplizio
Stefano Savona
(da http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090107/pagina/01/pezzo/238803/)
La striscia insanguinata di Gaza è l’ultima testimonianza di una tragedia senza ritorno, ormai avviata verso la soluzione finale. In questi giorni migliaia di feriti e centinaia di morti, vittime dei bombardamenti e dell’attacco terreste della grande potenza nucleare israeliana, si sono aggiunti alle decine di migliaia di persone in condizioni disperate a causa della miseria, delle malattie, della fame. I ricatti finanziari e l’embargo imposto da Israele alla popolazione di Gaza non intendevano colpire soltanto il movimento di Hamas.
Né si può minimamente pensare, nonostante i fiumi di retorica versati dagli opinionisti occidentali, che l’operazione «Piombo fuso» fosse stata progettata per replicare ai razzi Qassam. In dieci anni questi rudimentali strumenti bellici non avevano provocato più di una decina di vittime israeliane.
Gaza deve scomparire, soffocata nel sangue: questo è l’obiettivo strategico delle autorità israeliane dopo il fallimento del «ritiro» voluto da Sharon nel 2005. Gaza verrà falciata come entità civile e come struttura politica autonoma: non a caso i missili e i carri armati israeliani stanno distruggendo accanitamente le sue strutture civili, politiche e amministrative. Gaza verrà ridotta a un cumulo di macerie e scomparirà come sta scomparendo la Cisgiordania, che ormai sopravvive come un relitto storico, come una sorta di discarica umana differenziata, dopo quarant’anni di illegale occupazione militare.
Quello che rimarrà del popolo palestinese sarà sottoposto per sempre al potere degli invasori in nome del mito politico-religioso del «Grande Israele». Rispetto a questo mito il valore delle vite umane è uguale a zero, nonostante il «diritto alla vita» di cui ha fabulato la Dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948. Il 1948 è proprio l’anno dell’auto proclamazione dello stato d’Israele e della feroce «pulizia etnica» imposta dai leader sionisti al popolo palestinese, oggi rigorosamente documentata da storici israeliani come, fra gli altri, Ilan Pappe, Avi Shlaim e Jeff Halper.
In questi anni l’idea di uno stato palestinese è stata l’ultima impostura sionista, sostenuta dal potere imperiale degli Stati uniti, con la complicità dell’Unione europea. L’inganno è servito non solo a coprire un processo di occupazione sempre più invasiva dell’esigua porzione di territorio – il 22 per cento della Palestina mandataria – rimasta al popolo palestinese dopo la guerra di aggressione del 1967. L‘inganno è servito soprattutto per avviare una progressiva e irreversibile colonizzazione dell’intera Palestina. Oggi non meno di 400 mila coloni sono insediati in Cisgiordania e le colonie si espandono senza sosta.
A Gaza e in Cisgiordania i leader politici palestinesi sono stati costretti all’esilio, incarcerati o eliminati con la tecnica feroce degli «omicidi mirati». Decine di migliaia di case sono state demolite e centinaia di villaggi devastati. Centinaia di pozzi sono stati distrutti e le riserve idriche sotterranee sequestrate e sfruttate per irrigare le coltivazioni delle colonie e dei territori israeliani. Migliaia di olivi e di alberi da frutta sono stati sradicati. Un fitto intreccio di strade che collegano le colonie tra di loro e con Israele – le famigerate by-pass routes – sono state interdette ai palestinesi e rendono ancora più difficoltose le comunicazioni territoriali, già ostacolate da centinaia di check point. A tutto questo si è aggiunta l’erezione della «barriera di sicurezza» voluta da Sharon, il muro destinato a stringere in una morsa la popolazione palestinese, relegandola in aree territoriali sempre più frammentate e dislocate. Nel frattempo Gerusalemme è stata trasformata in un’immensa colonia ebraica che si espande sempre più verso oriente, cancellando ogni traccia della presenza arabo-islamica e dei suoi millenari monumenti.
L’etnocidio del popolo palestinese si consuma nell’indifferenza del mondo, con la complicità delle cancellerie occidentali, l’omertà dei grandi mezzi di comunicazione di massa, il servilismo degli esperti e dei giuristi «al di sopra delle parti», il fervido sostegno del più ottuso e sanguinario presidente che gli Stati uniti d’America possono vantare. Per quanto riguarda il popolo palestinese, il diritto internazionale è un pezzo di carta insanguinata, mentre le Nazioni unite, dominate dal potere di veto degli Stati uniti, macinano acqua nel mortaio e lasciano impuniti gli infiniti crimini internazionali commessi da Israele. La triste vicenda di Richard Falk ne ha offerto in questi giorni l’ennesima prova. Ciò che sicuramente riprenderà vigore in un futuro molto prossimo – e sarà per tutti la tragedia più grave – sarà il terrorismo suicida dei giovani palestinesi, la sola replica «economica» al terrorismo di stato. E altissimo sarà il rischio di un allargamento del conflitto nell’intera area della mezzaluna fertile.
Che senso storico e umano ha tutto questo? Qual è il destino del Medio Oriente? Che funzione svolge la strage di uomini, donne e bambini palestinesi? Come si giustifica la spietatezza del governo Olmert e la complicità delle autorità religiose israeliane?
Una cosa sembra certa e è la funzione sacrificale di un lembo di terra tra i più densamente abitati poveri e disperati del pianeta. Chi persegue un obiettivo assoluto e si crede portatore della giustizia e della verità, si attribuisce un’innocenza assoluta e è sempre pronto, come ci ha insegnato Albert Camus, a imputare agli avversari una colpa assoluta e a spegnere la loro vita negando loro ogni speranza. Gaza è ormai un immenso patibolo dove si celebra di fronte al mondo una condanna a morte collettiva. L’umanità assiste allo «splendore del supplizio», per usare una celebre espressione di Michael Foucault. La pubblica esecuzione della condanna a morte dei propri avversari è uno strumento essenziale di glorificazione di un potere che si sente più che umano.