Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Silvana Baroni
Inediti da
SUOLE di PARA
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Con commento di Adam Vaccaro
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Nota dell’Autrice
Aristotele dice – il limite è ciò in cui qualcosa finisce e qualcosa comincia. Penso che il linguaggio lavori proprio lì, su quel limite (borderline) dove risiede il dubbio, termina la certezza e inizia l’avventura. Su quel limite la parola si fa nuda. Non dice, fa. E fa miracoli denudando il mondo. Il poeta, con il proprio stile (appropriato stiletto) non solo combatte contro le falsità del mondo, mette a nudo la ferita, a volte la cura, a volte la esaspera. Infatti c’è chi, su quella linea di confine, crea una partitura sonora, chi denuncia l’inciviltà contemporanea, chi si abnega perché l’aldilà si palesi, chi s’immola per una nicchia d’immortalità, chi si denuda nel diario, chi gioca con il montaggio del linguaggio, affascinato da quanto s’è depositato in esso lungo la storia dell’umanità. Per quel che mi riguarda, credo di essere (non potrei non esserlo) un puzzle di tutti quei “chi” di cui sopra.
Questi inediti dovrebbero confluire in un prossimo SUOLE di PARA, titolo che vuole chiarire l’intento di questa ultima mia raccolta, il piacere di aderire il più possibile all’autenticità delle emozioni. Per “realtà” infatti intendo le sensazioni e le emozioni che provo, che non saprei con certezza indicare altra realtà se non quella che vedo, ascolto, gusto, odoro, tocco. Sensazioni piacevoli o sgradevoli dettate dalla fiducia o dalla delusione di fronte alla “realtà” altrui. Emozioni ovviamente in sintonia o discordi rispetto al teatro umano del momento.
Silvana Baroni
SUOLE di PARA
La piazza che ogni giorno attraverso
ha un platano al centro, una lapide
contro lo zigomo del palazzo, smalti
rapidi a impennarsi in fumi acri e foglie
a concime tra i raggi delle ruote
Nessun ingresso s’apre su questa piazza
oltre il budello che dà ai box
Qui, il proscenio delle speranze deluse
qui rimbalza a perder tempo la luna
qui il vento martella lamiere, le gocce
cadono dalle grondaie in chiarità
di perdita su strisce lucide d’asfalto
Una cerimonia in contromarcia
per chi resta nel cerchio degli astanti
nell’angolo morto dei cancelli di ghisa
a guardare il groviglio, il guaiolare
del trasloco umano Sulle zebre
si passa ch’è rosso, in sperpero di passioni
in gareggio con le ambulanze, che magari
è l’urlo di Munch a indicare la tangente
in fondo alla giornata –
*
Una spider voglio, meglio la portantina
da ficcarci sopra culo e tacchi
e viaggiare attraente al funerale
neri gli occhiali e la bambina con i guanti
Ch’è la volta di farla semplice
senza gesti d’afflizione tirar via
risoluti dall’ingombro dei fiori
che non c’è verso a tirar fuori
il morto dalla cassa
Che dietro il feretro s’è attori
congiunti a sodalizio con gli astanti
trascinati nel corruccio a transitare
l’anima novella tra i suoi i santi –
*
Il tempo
un passo avanti, uno dietro dalla mappa
e si ricomincia dai treni
Rami di gelso alla partenza, rami di neve
all’arrivo trasognati, e al centro
la retta d’ali su aie d’aria come una volta
che ogni porta aveva la chiave nella toppa
frutti appesi a nutrimento, e Pan
pancia all’aria a mordere ai fianchi
la nuova fidanzata
Suono alla porta del tempo, non apre
smuovo il chiavistello, tento altra fonica
nulla La luna è appiattita a resina
il cane ha smesso d’annusare, non scodinzola
nel favo delle ore un topo le sgranocchia
Nemmeno un secondo pulsa dalle tasche
dell’aldilà, la metafisica si dimena, ripudia
le parole, è tutto un DNA di passaggio
una babele di rantoli, becchime dalla clessidra
un battere e levare dell’assenza, l’ansimo
in solfeggio dal coro
É il momento di fare il punto, proprio
sul punto in cui la virgola è a capo estenuata
Perdere la chiave, si deve, quella che chiude
solo così la buonanotte è salva! –
*
A sfiorarmi quel genere di meraviglia
che sfrigola dalla bacchetta magica
e torna nella zucca, che scivola in odore
di menta sulle labbra, a tepore di bevanda
A sfiorarmi, sull’argine la scritta a cuore
la gonna a campana svolazzante
l’incedere dei tacchi da far tremare a suono
anche i batacchi
Primavera! Ritrovata primavera!
Una rivincita? La speranza gabbata già da adesso?
Alcuni dicono: “a solita speranza”
altri: “fin che dura, dura”
e sono i soliti dietro vetri appannati
mai andati allo zoo –
*
L’argomento è l’oscurità
da dietro un vetro gridato, soffiato, specchio
del vuoto É la curva in sospensione
in angolo il crudo delle immagini, la noia
che sfrigola tra i ricami del paniere e prosegue
nel doppio tuorlo da montare
I pani della carestia non lasciano molliche
né un pennuto è disposto a beccarle
Ci tagliano il viso i lumi sulla tavola
gira un walzer alla radio, il rapping dei moscerini
tra la frutta e i fiori I termini della questione
sono blatte inafferrabili, il tempo è un ventaglio
d’eternit, l’ago della bussola si dissalda, la stella
polare non la smette di giocare a dadi con le ossa
Tu vai, io resto in doglie di palafitta
sull’ipotenusa scivola il motore della Renault
forse dovremmo sederci a ricordare – l’andante
caloroso di Prokofiev? – assistere allo sgroviglio
dei tentacoli dell’edera, attenerci ai cerchi
sul tronco, alle incise date e leggende
Forse il plumbago risalirebbe in azzurro
su pareti da affrescare
forse muterebbero anche gli atomi
della fontana del cesio –
*
Ebbene sì mi pento
d’aver perso l’immortalità del quotidiano
a dar pose d’eterno a gesti inconsistenti
nella speranza folle d’esibire ai posteri
una perpetua inossidabile parvenza
La circostanza invece è qui che preme
propone, insiste, ardita s’interpone
profila azzardi, giochi, previsioni
d’ogni vicenda pretende l’utile da farsi
a rispetto delle altrui inderogabili questioni
Assidua come devo al rito dell’evento
avvezza come sono ai dubbi sull’avvento
vivo di quel che posso
giorno per giorno falena d’ali a vite
in giro, ospite pur sempre
d’un ragguardevole raggiro –
*
Nota Biobiblio
Silvana Baroni è poeta, aforista, narratrice e pittrice. Ha scritto di satira di costume, di critica d’arte e di teatro. Ha pubblicato nel ‘92 per Il Ventaglio “Tra l’Io e il Sé c’è di mezzo il me”- aforismi e grafica. Seguono quattro raccolte di poesia: nel ’94 per Il Ventaglio “Stagioni”. Nel ‘98 “Nodi di rete”; nel ’01 “Ultimamente”; nel ’02 “Il tallone d’Achille di una donna”, tutti e tre per Fermenti ed.. Nel ’97 “ Neppure i fossili” – Quasar – aforismi e grafica; nel ‘98 ”Acquerugiola-acquatinta” – Dell’oleandro – haiku e grafica; nel ‘05 “Alambicchi” – Manni – 14 racconti; nel ’06 per la collana Controsensi di Fermenti “Nel circo delle stanze”- poesie; nel ‘11 “Il bianco, il nero, il grigio” – Joker – aforismi; nel ‘12 “Perdersi per mano”- Tracce – poesia; nel ‘13 “Criptomagrittazioni”- onyxeditrice – poesia; nel ’13 “ParalleleBipedi” – La città del sole – aforismi e grafica; nel ‘14 “ Il doppiere e lo specchio”- La Mandragora – aforismi e grafica; nel ‘15 “ Lampi” – La città e le stelle – narrazione aforistica; nel ‘16 “Le quinte, le frasche, le dune” – Robin – poesia e grafica, nel ‘16 “Fuori dall’orbite – Nulla di cosmico”- La Mandragora – aforismi; nel ‘17 “Perimetri accerchiati”- Gattomerlino – racconti; nel ’19 “Dall’incipit al microchip” – Babbomorto – narrazione aforistica.
*
Nota di Lettura
Questi testi di Silvana Baroni danno il piacere di ritrovare, varianze e costanze rispetto a moti di creazione e forme di qualche decennio prima. In primo luogo, la passione totalizzante. Nella coscienza acuita della sua scommessa priva di certezze a monte e a valle, per quel suo stare sul limite, antico magistero citato, che si innerva nella nuda necessità della scrittura poetica (versificata e no) di essere frutto non solo del suo Autore nominale, ma dell’Altro. Cioè di quel contesto (spesso evocato a vuoto) in cui procediamo, a piedi scalzi o con scarpe (anche del testo), col senso contraddittorio e ironico del titolo che crocifigge la nudità richiesta e impossibile del poiein (vedi il paradosso del biblico roveto ardente). Ché la complessità di senso, dei singoli segni e del testo complessivo, si accende tanto più se non resta nel nido di giochi retorici dell’Io. Se la tensione alla totalità si incarna nei sensi del corpo (vista, udito, tatto ecc.), chiamati a fare orchestra e festa in quell’attimo di tempo inaspettato e senza parole, ed è primavera! Alla faccia di chi rimane accucciato e chiuso dietro vetri appannati dalla paura di vivere!
La serie di immagini crea sequenze di film neorealista e scatti visionari: “La piazza che ogni giorno attraverso/…/Qui, il proscenio delle speranze deluse/…/qui il vento martella lamiere, le gocce/ cadono dalle grondaie in chiarità/ di perdita su strisce lucide d’asfalto/…/a guardare il groviglio, il guaiolare/ del trasloco umano”; “Rami di gelso alla partenza, rami di neve/ all’arrivo trasognati/…/e Pan/ pancia all’aria a mordere ai fianchi/ la nuova fidanzata”, “la metafisica si dimena, ripudia/ le parole”; “A sfiorarmi quel genere di meraviglia/…che scivola in odore/ di menta sulle labbra, a tepore di bevanda/ …/la gonna a campana svolazzante/ l’incedere dei tacchi da far tremare a suono/ anche i batacchi/ Primavera! Ritrovata primavera!/ Una rivincita?”. Mentre “gira un walzer alla radio” tra “blatte inafferrabili”, “vivo…giorno per giorno falena d’ali a vite/ in giro, ospite pur sempre/ d’un ragguardevole raggiro –
Canto materico che raggela illusioni idiote e lacrimazioni rassegnate, nella consegna a segni, come il trattino alla fine di ogni testo, che chiude e apre a un tempo! Ché non è un punto, ma tratto di un continuum fenomenologico, concreta possibile ripresa di speranza e rinascita!
Adam Vaccaro
Mirabile la poesia “Una spider voglio….” dove Baroni sintetizza tutta la sua capacità “distruttiva” (quindi altamente poetica). Qui lei spazza via, rimette a posto oggetti e sentimenti, svende le falsità, con ironia eccellente. Ma ogni prodotto creativo di Baroni andrebbe sottolineato, lei definitasi “puzzle di quei chi” lo dice sorridendo a metà, giacché lei stessa ha messo e mette e rimette il suo sasso sulla tomba della vecchia poesia sciocca. Come fanno gli Ebrei.
Cristina Annino
Ringrazio molto Cristina soprattutto sapendola assai schietta ed intransigente. La ringrazio anche perché mi dà la possibilità di ritornare ad uno dei nostri argomenti preferiti: l’autenticità.
L’autenticità non è che l’espressione vera di una necessità comunicativa vera;è il desiderio di parlare al proprio simile e non di lottare contro il dissimile.
L’impresa non sta nello stupire o rinnovare a tutti costi, nell’allinearsi alle mode, o credersi rivoluzionari. Ch’è la stessa storia della letteratura a dirci che quel che resiste al tempo è l’autenticità del comunicato: la necessità profonda di svelare quanto di umano poi ci lega.
E’ troppo facile, ti amo troppo./Tu che la vita l’intendi/ fino al limite, fino al bordo/proprio quando la virgola va a capo/e ti diventa punto.//La portantina, eh?/Vedo che non hai smesso del tutto/ la cattiveria che tanto/piaceva all’altro Mario/ma questo tuo più tenue solfeggio/scava en el enfermo corazon malado/siempre demasiado/ma ora impegnato a giocarsela a zecchinetta/ con la vecchia/ E la chiave è persa…
Silvana Baroni torna alla poesia col suo graffiante aculeo di necessità satirica di aforista che, da par suo trova eloquenti panorami di realtà sempre infitta nel corpo sensoriale del linguaggio. Ella trova così nuova una linfa di osservazione che genera anche verbie parole sulfurei d’interese critico e psicologico. Da queste anticipazioni di testi avvertiamo la cifra della baroni; misurata sete di smeraviglia. Giochi d’intelligenza attualissimi non barochi ovviamente, o astrattamente lirici,ma un fantasmagorico , bizzarro urlo di ricerca, esemplato stilisticamente da varie notevoli frequenze di sonorità sibilantie fricative, che giustamente dicono bottoni del vestito linguaggio che la parola stileeta vuole colpire il lettore di un cammino di reificazione conquistata al cielo della parola. e questi suoi versi che poniamo in chiusa ci sembrano assai esplicativi della poetica scaltra e dubbiosa della Baroni. Ebbene sì mi pento
d’aver perso l’immortalità del quotidiano
a dar pose d’eterno a gesti inconsistenti
nella speranza folle d’esibire ai posteri
una perpetua inossidabile parvenza
Ringrazio Mario Quattrucci per l’appassionato-scherzoso commento, sensibile come sempre (in simbiosi con il nostro caro Lunetta) alla fermezza del dire, all’impatto schietto della lingua nel raccontare il bello e il crudo della vita.
Ringrazio anche Paolo Carlucci per aver riconosciuto nei testi l’inevitabile vena aforistica che scorre inconsapevole essendo parte integrante della mia lettura critica del mondo e dell’animo umano.
Ringrazio Adam per aver riscontrato nei miei versi la “passione totalizzante, la visione neorealistica in un continuum fenomenologico di scatti visionari”; addirittura commossa alla definizione di “canto materico”.
Ricevo e inoltro questo commento di Giacomo Graziani
Adam
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A proposito di “Suole di para”. Mi piace quel tessuto robusto e complesso del testo che scuote qua e là la sintassi, non per futile maniera ma per la impellente necessità di trattenere un pensiero senza perdere sensazioni. Come dice bene Vaccaro, volontà di rappresentare la vita afferrando la verità del vissuto nella povertà dei rapporti umani in un desolato paesaggio urbano.
Giacomo Graziani
Ringrazio Giacomo Graziani per il lucido sintetico commento che, se pur breve, esprime bene quel che gli è giunto e avvalora il mio intento comunicativo.
Sembrerebbe, questa anteprima, la poesia propria e peculiare di Silvana Baroni e sicuramente lo è nella cifra antilirica, ironica, esterna a ogni concessione per il suo sguardo a latere, dove le cose sbattono alle emozioni. Ma c’è come un vento nuovo che attraversa già il titolo fatto di scarpe, perché ora è tempo di camminare, di attraversare immagini quotidiane, antieroiche, soprattutto ora, pulsanda tellus. E sono di para, per andare veloce oltre il limite di ogni infingimento, a caccia di autonomia e di autenticità.
Ringrazio sentitamente anche Luciana Gravina che ben conosce la mia scrittura, non solo la poesia, da almeno una ventina d’anni ( da quel lontano 2000 quando presentò il mio libro di racconti “Alambicchi” ). Lei conosce bene quel mio guardare a lato, posizione che consente di distrarre il proprio ego ed inserire l’oggetto in una visione più ampia, collettiva. Credo sia proprio questo sguardo a caratterizzare la mia scrittura.