Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Ivano Mugnaini
Sette Inediti da
Ninfe e soli feroci
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Con un commento di Laura Cantelmo
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UNO SGUARDO ALTRO: salvifiche, umanissime follie
Il titolo, “Ninfe e soli feroci”, è provvisorio. Tuttavia già contiene alcuni dei punti cardine di questa raccolta, in particolare la riflessione, o meglio la descrizione delle sensazioni che derivano dall’accogliere, dentro, il pensiero della grandezza opposto alla miseria del tempo, il mito e la realtà, l’osservazione delle potenzialità del sogno messe a confronto con la ferocia del vero. E, a questo punto, subentra quello che avrebbe potuto essere un altro titolo provvisorio alternativo, “Umanissime follie”. La follia è intesa non come eversione fine a se stessa ma come sguardo e gesto che volutamente e potremmo dire lucidamente si distacca dalla pratica corrente e vincente, allontanandosi dalla sopraffazione comoda, dalle scorciatoie, dalla ragione che si schiera dalla parte della marea trionfante. La follia è uno sguardo altro, avulso, sghembo, coglie traiettorie non ortodosse e non ortogonali, lo spazio in cui, negli ambiti che davvero contano, ciò che è umano si conserva, cerca di salvare e di salvarsi, in attesa di tempi altri, o comunque di luoghi del mondo e della mente non omologati in cui ci si possa ancora sentire parte di qualcosa che va oltre i grafici e le statistiche. Uno spazio differente, da cercare nei gesti e nelle parole, nel fare e nel pensare, costi quel che costi.
Ivano Mugnaini
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Dici di essere una strega
Dici di essere una strega,
tu che hai il terrazzo pulito,
un inverno spazzato dal vento
e la tua fede nell’uomo,
il credo saldo e le immagini
di mani giallo sole
e azzurro cielo.
Non ti bruceranno. No,
non andrai sul rogo, mia
tonda e candida Savonarola.
Ci andrò io, muto e a capo basso,
per non far vedere il mio sorriso
mentre porto nella mente
un pensiero toccato con le dita:
il rosario di carne del tuo seno,
e la tua voce, parole folli e buone
che sai dire anche in mezzo
al casino e al dolore.
Porterò tra la legna ardente
il sogno e il sugo
delle tue labbra
e il ricordo di una lunga e sconcia
colazione sulla tua pancia calda.
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Arte umanissima
Bisogna amare qualcuno
che ti abbia visto cadere
rovinosamente dalle scale
senza ridere, senza tremare,
senza odio, senza disprezzo,
senza commiserazione.
Sapendo che è normale;
è arte umanissima
toccare il marmo e il granito
con la schiena. La spina, elastica,
calca lo iato tra la materia
e il niente, il vuoto e il pieno.
Non conta come, dopo,
è messo il corpo, le ossa,
la postura.
Conta la forza di conciliare
la carne e il pensiero,
l’io e l’altro,
il vetro e il riflesso,
il caso, il destino,
il volo e la paura.
* * *
L’argine
Abbiamo camminato lungo l’argine
di un fiume ignoto, acqua, fango,
polvere, passi lenti, muti.
Non sappiamo dove finisce.
Dopo un ponte fatiscente
c’è solo altra strada,
altro cammino.
Abbiamo incontrato una capra
legata ad un palo.
Io ho piegato il capo, tu ti sei fermata
e le hai parlato.
Hai urlato contro quella corda
di ferro, il cerchio interminabile
dei suoi passi, il dislivello
che la rende zoppa, claudicante.
Non la dimentichi, quella capra,
progetti di liberarla, spezzando
la catena. Io faccio il saggio
e ti dico che non si può e che se anche
si potesse non ne varrebbe la pena.
Ma mentre guardo i tuoi occhi di eterna
guerriera bambina
ti amo più di sempre e la mia
catena di ferro e rancore
cade al suolo.
Posso correre
verso i prati della radura.
Posso credere che esiste
ancora il sole,
l’odore della primavera.
* * *
Ninfe e soli feroci
Le foglie d’erba, non retoriche,
non whitmaniane, ci vedono
e non ci guardano. Non giudicano
i cambi di partito, le querce, gli olivi,
le palme da dattero, l’olio, le scissioni,
noi e le nostre menti, i corpi
e i desideri, gli amori di ieri
e di sempre, le miserie vomitate
di sabato sera su un tavolo
di birra e di Cif Ammoniacal.
Ridono di noi, senza ferocia,
con panica compassione,
le greggi lente sugli antichi tratturi.
Hanno conosciuto, loro, guerre e amori
combattuti col cuore, ninfe e soli feroci,
orgasmi che hanno fatto tremare i boschi
e gli orchi nelle grotte muschiose di tufo.
Hanno sentito gridare e godere la terra
aperta in un sisma di sangue e di linfa
chiara di sacre puttane, amate con gusto
da satiri figli del Tempo, ignari di lattice
e plastiche colorate.
Ora, qui, in questa specie di vita che è
tutto ciò che ho, mi muovo lungo questa
strada di steli verdi stinti, solitudini
e silenzi infranti, di schianto, da un’ombra
di vita e di morte che mi cammina accanto.
* * *
Per nessuna ragione
Abbiamo creato la nostra divinità,
nei nostri abbracci infiniti nel buio.
Abbiamo generato il dio che ci genera,
nostro padre e nostro figlio, il nostro
spirito per niente santo.
Se in qualche luogo del cosmo ci sono
altri dei, forse adesso ridono di noi,
del nostro misero, imperfetto paradiso
da pagare ogni mattina con una tassa
e una manciata di monete versate
una ad una alla portinaia davanti
a cui passiamo con le mani piene
di buste di spazzatura, cibi in scatola
da gettare con vergogna come scorie nucleari.
Eppure, ora, per nessuna ragione cambierei
la nostra stanza di pochi metri quadri
con le galassie immense e innumerevoli,
mai baratterei le nostre ore rubate
a freddi inverni con l’eternità
di un’impassibile estate.
* * *
Quasi ciechi
Sarebbe bello essere quasi ciechi come te,
amico mio inventore di misure
spaziali e visure di edifici di storie ancora
da costruire. Sarebbe bello, ogni tanto,
trovare i gradini con i piedi e i corpi
con le dita scegliendo dagli odori.
Bello sarebbe un buio profumato di mistero
antico, ombre che nessun trillare
di cellulare può tramutare in poliuretano.
Essere ciechi e sordi. Parlare soltanto
tra di noi, durante le solenni cerimonie
sacre e profane di amiche in comune
che chiami puttane ma con un moto
così intenso di affetto e desiderio
che resto quieto e serio come di fronte
al discorso di un saggio asceta tibetano.
Ma se fossimo del tutto ciechi e sordi
non avremmo visto entrare nel salone
rinascimentale l’assessora alla cultura,
le sue spalle nude abbronzate da far morire
Rubens e Tiziano, fargli mozzare una mano
per la frustrazione di non poter accarezzare
la sua pelle vera sulla tela nuda del reale.
Io l’ho vista, tu l’hai intravista con il tuo
magico occhiale. Ci ha fregato entrambi,
inesorabile. La bellezza cancella ogni proposito,
tramuta il non essere in respiro, il silenzio
in fiato accelerato, la paura in fame e riso,
l’afa in vibrante frescura.
* * *
Io sono te
Io non ho te. Io sono te.
Non ti ho. Ti vivo. Vivo
quando sono il tuo respiro.
Non sono padrone di niente,
neppure del tempo avuto
in sorte, del corpo
che tengo vivo mentre lui
nasce ogni giorno e muore,
corre verso la morte a braccia
distese.
Sono padrone del pensiero
che mi unisce a te, ed è
lo stesso amplesso a occhi
chiusi che lega le nostre braccia,
le dita, la mente, i cuori, a dispetto
del niente che incalza e preme
sui muri divisori.
Il nostro battere all’unisono
conferma la tenace
consistenza
dell’inesistenza.
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Notizia biobibliografica
Ivano Mugnaini è nato a Viareggio e si è laureato a Pisa. È autore di romanzi, racconti, poesia e saggistica. Scrive per alcune riviste tra cui “Nuova Prosa”, “Gradiva”, “Il Grandevetro”, “Italian Poetry Review”, “Doppiozero”, “L’ Immaginazione” e altre. È curatore di recensioni, editing e traduzioni, sia per alcune case editrici che come freelance. Cura il blog letterario “DEDALUS: corsi, testi e contesti di volo letterario”, www.ivanomugnainidedalus.wordpress.com e il sito www.ivanomugnaini.it .
Ha collaborato con diverse associazioni culturali. Ha presentato sue prose e liriche all’interno di manifestazioni e rassegne artistico-letterarie tra cui “Versinguerra” e “Bunker Poetico”, all’interno della Biennale d’Arte di Venezia.
Ha pubblicato le raccolte di racconti La casa gialla e L’algebra della vita, i romanzi Il miele dei servi e Limbo minore e i libri di poesie Controtempo, Inadeguato all’eterno e Il tempo salvato. Il suo racconto Desaparecidos è stato pubblicato da Marsilio e il suo racconto lungo Un’alba è stato pubblicato da Marcos y Marcos. Di recente pubblicazione i romanzi Lo specchio di Leonardo e la raccolta di poesie La creta indocile. Tra i critici e scrittori che si sono occupati della sua attività letteraria: Vincenzo Consolo, Gina Lagorio, Giorgio Bàrberi Squarotti, Alberto Bevilacqua, Luigi Fontanella, Elio Pecora, Maria Luisa Spaziani, Giorgio Saviane.
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Nota di lettura
Due sono le personae che agiscono in questo “discorso amoroso” di Ivano Mugnaini e sono, ovviamente, un Io e un Tu connotati secondo i parametri di definizione dei due generi, ma la voce “narrante” è quella maschile e dunque suo il punto di vista sulla relazione, spirituale e carnale, sulla dinamica derivante dal diverso modo di vedere e vivere la vita (“Dici di essere una strega”).
Si dipana così una sorta di emotivo report sui diversi comportamenti, stridenti tra loro, benché entrambi profondamente umani, segnati da una battagliera bontà di lei “strega” e insieme… ”guerriera bambina” (“L’argine”) e da una compiaciuta e forte sensualità di lui, colorata di ironia e intrisa della fragilità che è in ciascuno di noi. Due facce di una stessa medaglia, si direbbe.
L’amore è al centro – quello in cui gli amanti si immergono profondamente e tempestosamente fino ad assurgere a un Olimpo di dèi, quasi che l’amore rappresenti il cuore di tutto e che da lì tragga forza e linfa la vita, essendo l’estasi amorosa l’unica condizione “folle”, perché fuori dagli schemi, e al contempo estremamente reale, concessa in questo imperfetto e impagabile paradiso in cui ci è dato vivere. Una condizione in cui la natura leopardiana, impassibile, insieme a un reale esterno e volgare ci hanno relegati. E dunque si intende come la richiesta di amore non sia solo quella che unisce nell’amplesso, ma comprenda una più estesa richiesta di accettazione della fragilità dell’Altro, perché “conta la forza di conciliare la carne e il pensiero…il volo e la paura” (“Arte umanissima”).
Laura Cantelmo
Occorre Occorre essere stati all’amore ci avverte Ivano Muganini, in queste fluviali ma pure terrigne liriche che sembrano volerci portare ad una poetica nuova, di resurrezione quasi panica e universale. Passeggiando, dove le.foglie d’erba “ci.vedono” e ci guardano al limitare di incontri(Una capra, che richiama subito l’incontro autoritratto di Saba )o le foglie “non retoriche” e sorelle. Alla follia dunque che rinsavisce dell’amore come viaggio terreno e celeste, chiede questa scrittura di portarci: nel nostro elemento vivente e vitale. Dove gioire è vivere sono la nostra natura divina che ritorna riscattata Forse sì c’è una poetica per tempi e mondo nuovo che si annuncia ed è un patto nuovo: sarà Eva, ed Adamo, a rappresentarla, essendone icona e poiein trasformazione anche in parole di luce. Grazie Ivano.
Una lettura attenta e accurata e un commento allo stesso tempo poetico e ben argomentato. Ti ringrazio molto Mariapia per aver individuato alcuni dei punti cardine di questi scritti inediti.
Un lettura del tutto “adiacente” la tua, partecipata ma anche ben pensata e sentita. Del tutto adeguata al sito di Milanocosa che ci ospita.
Grazie a te.
E grazie ad Adam Vaccaro per l’invito ad inviare alcuni miei inediti.
Non ultimo un ringraziamento a Laura Cantelmo per aver saputo cogliere l’essenza di ciascun componimento.
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