Come un sasso gettato in uno stagno genera cerchi sempre più grandi, così questa Storia naturale dei giganti genera una storia particolare della letteratura italiana e una satira storica degli usi e costumi contemporanei.
Si parte dal Morgante (1478) di Luigi Pulci e si arriva all’Astolfeida (1547) di Pietro Aretino, con rapide incursioni in epoche anteriori (medioevo: Turpino, Storia di Carlo Magno; i Cantari) e posteriori (Bernardo Tasso: Amadigi, Il Floridante; Carlo Gozzi, La Marfisa bizzarra). Oggetto dell’indagine: i giganti. L’imprinting spetta di diritto e di fatto a Pulci con le celebri coppie comiche di Morgante e Margutte (giganti da guerra: giganti selvatici civilizzati, ri-convertiti, con l’uso d’armi improprie come il famoso battaglio di Morgante, a macchine di morte e distruzione) e di Sperante e Beltramo (giganti selvatici: rettiliani, egocentrici ingenui e isolati, dediti a una violenza sistemica non per sadismo ma per ignoranza e gaglioffaggine costituzionale).
Storia della letteratura cavalleresca investigata dall’angolo visuale dei giganti, della loro metratura psico-somatica deforme e delle loro strambe imprese, che traccia una storia naturale, parodia di una speciale evoluzione darwiniana. I giganti si evolvono da selvatici a giganti da guerra, a giganti da guardia (Orlando Innamorato del Boiardo) fino a diventare giganti servili con i continuatori del Boiardo, con ramificazioni secondarie quali i giganti filosofi, giganti neri, ladroni, gigantesse, ecc. Insomma, c’è da sbizzarrirsi. L’ultimo gigante, l’Arcifanfano dell’Astolfeida di Aretino viene castrato. È la fine di questa razza bislacca ma è anche la fine dell’epopea gloriosa della cavalleria errante. Poi viene la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso che è tutt’altra cosa e il Don Chisciotte (1605) di Cervantez che rappresenta la pietra tombale sul romanzo cavalleresco e l’aurora del romanzo moderno. Inizia l’età di Cartesio: l’episodio notorio dei mulini a vento dimostra «che i giganti ci sono ancora, ma sono diventati dei meccanismi.» (p.185).
Storia naturale in quanto storia del realismo magico di un paesaggio meraviglioso, di una flora e di una fauna, dove i testi letterari sono citati come prove inoppugnabili, reperti archeologici, fossili scritturali di un’accaduta morfologia. Si delinea un’enciclopedia dei mostri e del mostruoso che, sfruttando le vene più diramate di un genere, mette a frutto impulsi profondi dell’imagerie. L’eroico ramo guascone e goliardico, tanto sfrontato da risultare blasfemo, temporibus illis, innescato dal Pulci, s’innesta con successo nel tronco grottesco e comico del récit tanto lunatico, iterativo e folle quanto limpido, sornione, lucido, a volte iper-reale, congegnato da esatti marchingegni narrativi, della scrittura di Cavazzoni, di cui ci ha dato tanto prova nei precedenti romanzi.
Caricatura di una caricatura, deforme, mostruosa, quanto calcolata e meticolosa parafrasi della letteratura cavalleresca, l’iperbole gestuale dei giganti si fa pre-testo e sotto-testo carnevalesco, tra Rabelais e Calvino [1], di una garbata, esilarante satira della contemporaneità [2], che non risparmia niente e nessuno.
rinaldo caddeo
[1] Per esempio a p.36: «Tibaldo dell’Arabia Petrea, maomettano, assediato in Ascalona (come si legge nel Ciriffo Calvaneo già citato, che tra l’altro consiglio a chi si voglia istruire e imparare la storia mondiale), ne riceve sedici in aiuto via mare. Già quando sbarcano però, Tibaldo è pentito. Tra di loro fanno lega subito, anche se vengono da luoghi lontani, si abbracciano, cercano di sollevarsi l’un l’altro, che è un gesto di gioia, ma cercano in genere di farlo contemporaneamente, che è un gesto di gioia balorda, la quale degenera subito e può fare danni nel caso di accanimento e caduta a terra singolare o collettiva o in mucchio; e poi per la gioia strappano i pini e li buttano in alto, creando disagi al momento della ricaduta sui curiosi e sugli attendamenti vicini; poi, sempre per divertirsi, sputano, ché sono questi i loro divertimenti, si mettono ad esempio in bocca le bombe delle bombarde e se le sputano addosso, e così via, perché sputare la ritengono una bellissima cosa, ad esempio sputare un cammello in bocca ad un altro, che è una bella schifezza, io dico, ma ai giganti piace, per via che il cammello è flemmatico e impiega molto a scocciarsi; e poi rutti, ancora rutti, soprattutto si divertono a fare dei rutti»
[2] Un esempio a p.163: «Va detto che i paladini in quest’epoca sono come degli attori celebri, che attraggono le folle e i singoli; la notorietà ha molta forza sugli animi semplici, e i giganti che un tempo erano zotici e refrattari ai fenomeni facili di massificazione, adesso, a questo punto, nella generale incertezza sociale, del primo ‘500 e nella quotidiana frustrazione, si appigliano ai nomi che fanno più rumore, in cerca di una nicchia di protezione; come in altre epoche ci si iscrive a un partito, alla massoneria, a un sindacato, a un albo professionale, a una setta di psicanalisti o di sociologi, che vivono all’ombra di un capo, sia esso vivo o defunto, che vivono nella memoria e nello studio indefesso di un capo. Così i giganti. Solo che non sono nel campo teorico, e allora lo preferiscono vivo il maestro.»
Grazie per l’informazione, molto divertente e curato!
Al
come si può trovare il Ciriffo Calvaneo ad un prezzo
accettabile? E’ stato edito da qualche casa editrice
in tempi non remoti?
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