Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Massimo Pamio
Inediti da Indivinazioni
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Con un commento di Adam Vaccaro
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L’ultimo mio libro è uscito nel 2010. Ho continuato a scrivere con alacrità, ma non ho più pubblicato nulla, non ne conosco neanch’io le ragioni: forse perché non ritengo che esista più un pubblico della poesia attento e sensibile, non si riusciva prima a trovare qualcuno che amasse cordialmente, sinceramente, la poesia, figurarsi adesso, in questo periodo in cui un’enorme flusso di dati e di scritti ha invaso i molteplici piani della comunicazione, rendendo la poesia un dato informativo eccessivo, superfluo, ridondante.
Forse, è nel silenzio che la poesia può veramente sopravvivere e non nel mondo del blabla, degli urlatori che alterano non solo il tono ma anche le sintassi delle parole. La parola conduce al silenzio e dal silenzio trova linfa, i poeti sono eremiti che abbandonano l’io a una sorte interiore, per fare ingoiare l’io da abissi, da profondità ctonie. Così ho incontrato un poeta sensibile che ha voluto duecento miei versi e li pubblicherà su una rivista, il lavoro poetico che va dal 2010 al 2012. Ve ne anticipo una piccola parte inedita, che non è una vera anticipazione, ma una posticipazione del mio fare poetico. Un ritorno al passato, per meglio ascoltare il silenzio del mio tempo. Il vero anticipare è, oggi, venire da, essere lontani, procrastinare, rendersi invisibili.
Massimo Pamio
V
A tanto delirio mi spinse la materia.
A forare le mani di chiodi, a rivolgere domande
ai morti. Senza mai cedere d’un passo
agli insetti delle molecole.
Non esiste appiglio, in me insisto
perché in piccola parte reco
la difettosa sostanza che fonda il mondo
e non vuol cedere il passo.
Sentire
Significò leggere nei molti me,
e sempre dubitare di tutti loro,
fin quando ricomposi nell’ascolto
quel che sempre
nasceva con le mie fibre
cresceva con le rughe dei sorrisi
invecchiava per morire. Con me, di me.
Silenzio
Risiede, nelle biblioteche, il silenzio.
Sontuoso, vasto – attinge a virtù esclusive.
Con un pizzico di trepidazione
i lettori ne osservano la regola.
Sprofonda, il tempo, in quegli ambienti.
Il peso dei libri – non il silenzio –
incombe, grave, annichilente.
Oscuro, si avverte, il rovello della lunga ricerca
della perfezione formale che macerò coloro
che ora dormono, inascoltati.
È quel silenzio a impetrare il nostro.
Silenzio
Di tutt’altra natura il silenzio delle chiese.
Profuma d’incenso e di giglio,
assorbe pene, imprecazioni, suppliche
e quel che gli uomini nascondono
per riversarlo sul dio.
Si battono il petto, sollevano le braccia
verso l’alto, s’inginocchiano, carponi
fino all’altare; muti, esausti: qualcuno, in estasi.
È il modo di affidare alla propria coscienza
messaggi in bottiglia. La fragilità dei deboli,
le sconfitte dei vinti, le rimostranze dei ricchi:
tutti egualmente perdenti.
Silenzio
Nel silenzio del chiostro s’appaga
il divino che è in noi.
Stupore che proviene dalla meditazione.
Visione scaturita dalla contemplazione.
Estetica del nulla.
Passeggiano i monaci. Custodiscono
l’istante in cui al mistero si sono
donati. Quando a loro
è stata concessa l’humilitas.
Silenzio
Il proferire d’uno sguardo di neonato
cela, del silenzio, la verità. Fragilità
da cui tutti proveniamo, che avvolge la creatura
con il creatore, lo schiavo con il padrone,
il temerario con il codardo: che da sempre
unisce il bene con il male, crudeltà con innocenza,
d’un solo germoglio che incita la primavera
al ritorno.
Silenzio
Sono passato attraverso mille e mille anni di storia.
Sono stato dei tanti racconti l’eroico protagonista
e l’umile comparsa.
In ogni luogo della via conquistato
era il segno dell’indifferenza.
Mi sono battuto,
ho assaltato, depredato.
Contro il cielo ho inveito ho urlato
denudato, ridendo e beffeggiando
chi mi aveva chiamato a ridere di lui.
Silenzio
Per conoscere la punta del silenzio
in cui la fine regnerà,
siamo stati chiamati:
per salvare la nostra morte
da ogni possibile contraffazione.
Per l’istante che dell’eterno
ci restituirà, a un’irripetibile unicità.
Si compirà il mistero dell’individuo,
ogni minuto si trasformerà
in tempo definitivo, ogni angoscia
in pacificazione.
Sarà pace d’ogni desiderio di trionfo,
di ormeggio, di annientamento, di fine,
di resurrezione. E d’ogni principio.
(inedite, da Indivinazioni, in Cartavento/sa, 2010-2013)
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Notizia Biobiblio
Massimo Pamio, poeta e saggista, è direttore del Museo della Lettera d’Amore, museo unico al mondo che è ospitato nel Palazzo Valignani di Torrevecchia Teatina, è direttore editoriale delle Edizioni Mondo Nuovo. Studioso di letteratura moderna, ha pubblicato in volume numerose opere: Il nome della rosa (1987), Nell’appartamento confuso dei giorni (1999), Bucanotte (2008) Luceversa (2009), Amormorio (2010), di poesia; diverse monografie su scrittori contemporanei: Lo statuto dei labirinti (su Domenico Cara, 1987), Il filo lungo della parola (su Vito Moretti, 1991), Ritmi del lontano presente (su Antonio Spagnuolo, 1991), Parola etica (La poesia di Cesare Ruffato, 1999). Ha curato numerose antologie letterarie e suoi testi sono stati tradotti in francese e in inglese.
Dirige una collana per le Edizioni Ricerche e Redazioni; ha diretto alcune collane editoriali della casa editrice Noubs di Chieti. Presidente dell’Associazione Culturale Sannio Silvestre e poi dell’Associazione Abruzziamoci. Cura il blog delle Edizioni Noubs; è il responsabile, insieme con Andrea Marchese e Paolo Di Sabatino, del progetto “Abruzzo d’Autore”, sito internet che vuole promuovere l’Abruzzo attraverso le parole degli scrittori e degli artisti. Ha ideato “Casa d’Autore” a Capestrano (Aquila), casa museo dove sono in mostra foto, testi, dipinti d’autore. Tra i riconoscimenti conseguiti per la sua attività: Gran Trofeo della Cultura “Lucio Valerio Pudente”, nel 2005; è stato dedicato a lui un giorno del Senato Accademico del “New York State Senate” dell’Università di New York, con sue lezioni accademiche, per “la promozione della cultura tra Italia e Stati Uniti”, nel 1996; Primo Premio “Sandro Penna” di Poesia per il suo libro “Bucanotte”, nel 2006.
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Nota di lettura
La nascita della poesia, non come annuncio dall’alto del suo dio-creatore, ma come ricerca umana della sua genealogia, del suo fiorire fenomenologico, pur nella coscienza della sua imprendibilità e interminabilità. Pianta prona sulle sue radici alla ricerca del seme dissolto e introvabile. Parola che cerca, nel suo verbo di una molteplicità di lingue, ciò che la precede e che nega col suo esserci, cioè il silenzio.
Questi versi di Massimo Pamio si misurano con tale paradosso della poesia, uno dei tanti che la sostanziano non appena ci chiniamo a indagare il suo nascere e le sue forme. Ma ogni ricerca può essere fatta con accosti speculativi o col proprio corpo di versi, che qui ribatte domande e risposte su un chiodo posto in vari luoghi, con ritmi e immagini di silenzio che dice.
È una operazione di umiltà e di sfida della coscienza di sé, di ciò che pensa di sapere. Che sfiora il fare esoterico e aloni di magia. Che può ammal(i)are il nostro latente delirio di onnipotenza che crede di poter creare dal nulla, mentre oscilla nell’incrocio tra un noumeno inconoscibile e un fenomeno indagabile fino al suo epifanico sorgere tra “molecole” e “fibre” della totalità molteplice del nostro Sé.
Perché si tocchino attimi e lembi di silenzio in noi, occorre che il logorroico dire del dio dell’Io, venga immerso in un lago momentaneo di silenzio, in cui il suo sapere ne scopre un altro nella sua stessa radice. Solo se la parola si fa dire anche dall’Altro in sé, che odia la luce e la lingua dell’Io, che parla con le lingue del sogno, dell’eros, dei sensi del corpo e dell’inaccessibile, del divino e financo della follia, può scaturirne quel sapere che chiamiamo sapienza. Se il buio e la luce trovano tali attimi impossibili e precari di adiacenza, nasce ciò che chiamiamo poesia.
Di questa complessa fenomenologia, Pamio sa dirci e darci versi con una maestria immersa nella propria totalità fatta di tante forme di silenzi, “Per conoscere la punta del silenzio” che apre e chiude il cerchio, “per salvare la nostra morte”, “per l’istante che dell’eterno/ ci restituirà…/…il mistero dell’individuo/…/ Sarà pace d’ogni desiderio di trionfo,/ …di fine,/ di resurrezione. E d’ogni principio.”
Versi che fanno sentire il respiro che va dall’infimo all’immenso, nel circuito vitale che rovescia la morte in strumento di vita, e ogni fine in nuovo inizio: “A tanto delirio mi spinse la materia./ A forare le mani di chiodi, a rivolgere domande/ ai morti…/ agli insetti delle molecole. /…perché in piccola parte reco/ la difettosa sostanza che fonda il mondo”.
Il punto di partenza, non solo per Rimbaud, è decisivo “per meglio ascoltare il silenzio del mio tempo”. Piede che tocca il nulla per intuire l’oltre, come luogo del sacro o del futuro. È il senso del “vero anticipare”, cercato con questa iniziativa.
Adam Vaccaro
Indagare il rapporto tra parola e silenzio è alla base del dire poetico, un ritorno alle sue radici. Concordo nell’encomiare la maestria stilistica che questi versi testimoniano, combinata con un forte impatto a livello contenutistico. Credo non sia azzardato parlare di poesia metafisica, che indaga sul senso, quanto di più prossimo alla poesia pura,cioè tesa a sfiorare l’intangibile noumenico. Grazie all’autore ed alla redazione di Milanocosa per averci proposto questi versi.
Grazie, Fabrizio, della tua costante attenzione!
La poesia non morirà mai, perché ha il dono di reinventarsi ogni qualvolta sgorga da animo e mente puri. Si scrive per sé stessi prima che per gli altri, soprattutto la poesia, e poco importa che si abbiano uno, mille o nessun lettore. L’eternità è infinita. Se il silenzio è ideale per scrivere poesie, scrivere poesie sul silenzio, come sono queste di Massimo Pamio, richiede una introspezione e un umile ripiegamento dell’anima su sé stessa per coniugarlo nelle sue tante sfumature esistenziali e metafisiche. Raffinata cultura e profonda sensibilità, che sono proprie dell’autore, hanno accarezzato lo stile, così che profondità e semplicità procedono di pari passo. E per il lettore, queste poesie sono un godimento degli occhi, dell’orecchio, del cuore e della mente.
Ho trovato profonde e suggestive le poesie di Massimo Pamio, e concordo con l’analisi di Adam Vaccaro e con i commenti positivi. Solo mi permetto di esprimere una certa perplessità di fronte all’idea di attribuire un silenzio autoriale più o meno lungo alla pretesa inadeguatezza del pubblico della poesia; il quale, nella mia esperienza, esiste ed è in buona salute.
Di silenzio abbiamo bisogno perchè è nel silenzio che la parola trova la sua origine.
Nel ritmo delle Indivinazioni Pamio conferma quell’ormai acquisita fusione tra prosa e poesia che è segno odierno delle forme poetiche, e tuttavia riesce in questi suoi versi a non sacrificare il valore tradizionale del livello retorico e a preservare l’efficacia delle scelte lessicali e dei loro timbri. La sua poesia in prosa non punta infatti sull’azzeramento della poeticità convenzionale e risulta anzi perfettamente calzante alla riflessione teorica che riattiva il dialogo tra il poeta e la vita. Pamio parla nei suoi testi dei dubbi percepiti nel sentire la molteplicità del suo io e con grande potenza scopre e analizza i significati del silenzio. E i suoi testi diventano così l’antidoto ai dubbi sulla “difettosa sostanza che fonda il mondo” e al silenzio delle parole scritte e mai pronunciate dal poeta per molti anni.
sono rimasto impressionato dall’acribia critica di Vaccaro, dalla sua profondità di lettura, sorpreso e sgomento di fronte ad alcune parole in particolare, che avevo usato proprio la sera prima per cercare di dimidiare tra le due fazioni che si contrapponevano all’interno di una conversazione filosofica di un gruppo per me straordinario, “Lo spazio di Sophia”; onorato e travolto dalle frasi affettuose e dai commenti critici delle persone e dalle sapienti amiche che stimo, le loro interpretazioni esegetiche mi rendono oltremodo felice. Una occasione unica per un poeta che crede nella parola come una forma di energia che ci appartiene fino a un certo punto, perché proveniente da una Coscienza Universale che ci permea, che forse ci proietta illusionisticamente, illusioni a noi stessi. Grazie ad Adam Vaccaro, al sito Milanocosa, che rende tutto questo palpabile.
Per me questa esperienza di Anticipazioni – portata avanti con due validissimi compagni di viaggio – è fonte di avventure conoscitive, umane e letterarie, straordinarie. Spero di farne un prodotto cartaceo, corredato da questi splendidi riscontri e commenti. Sono grato a tutti gli appassionati di una poesia ricca di una lingua adiacente alla vita, quale quella di cui abbiamo bisogno e che cerchiamo anche con questa iniziativa. E con Massimo Pamio, a partire da questo post, siamo stati sollecitati a percorsi di scambio e approfondimento che credo proseguiranno con arricchimenti reciproci.
Fare poesia è innanzitutto scambio e condivisione, non chiudersi in un compiacimento solipsistico ma discutersi apertamente, mettersi in gioco. Anche grazie a spazi come questi…
Complimenti ad Adam Vaccaro, a Massimo Pamio, a tutti gli altri, per questo dialogo di poesia — all’insegna dell’approfondimento, e della franchezza dialettica.
Non posso che ribadire l’importanza di questa avventura di Anticipazioni in cui ci siamo addentrati.
Ogni volta una sfida, ogni volta un lavoro di umiltà e di immedesimazione per penetrare nel segreto dei versi, nel loro mistero. Un esercizio prezioso e un piacere che si ripete ogni volta e sempre in modo diverso.
Si scopre che la poesia è viva, al di là dei clamori del mondo. Infatti , come già detto, il silenzio è essenziale per trovare la parola che aiuti a spezzarlo, il silenzio, e per trovare la tonalità giusta.
Grazie a Pamio che ci affascina con i suoi testi armoniosi e profondi. E grazie ad Adam, che con tanta sensibilità e tanto acume ce li presenta.
Ringrazio questa iniziativa che permette di avvicinarci a poetiche di ricerca di senso, come nel caso della profonda visione di Pamio, interprete del silenzio.Il silenzio del divenire, dell’origine e profezia del nostro possibile futuro. Una occasione e invito all’ascolto che la poesia merita e richiede. Grazie all’autore e ad Adam per questa esperienza straordinaria.
Lisci silenzi dominano aliti di parole lambite da un aspirato vero
e adagio adagio gusto la profonda natura della poesia di Pamio
ne sollevo il lento silenzio che pare ora dolce abbandono e ora
cadente mistero sull’immobilità delle cose e tendo l’ascolto verso
una trasparente tregua nascosta dietro l’umido segno corrugato nel
cerchio noncurante di tempo.
Un grazie rivolto al poeta e al critico amico Adam
Anche nei primi del Novecento i poeti si sentivano completamente inutili eppure Ungaretti Quasimodo e Montale ci hanno lasciato versi irrinunciabili! La poesia squarcia tutti i silenzi e dal dolore trae la speranza e la rinascita. Certo, condivido, oggi la poesia occupa piccoli spazi sempre più invasi dal dilagante materialismo e annesso consumismo, ma come potremmo mai definire il nostro stupore davanti alle meraviglie dell’universo o dell’amore senza la poesia? Spesso un verso originale, un po’ scomposto riesce ancora a distrarmi dall’angoscia del vivere, a raccogliermi dall’abisso della solitudine e oggi fortunatamente le videopoesie donano emozioni sinestetiche anche per le giovani generazioni…
La poesia tenta un accesso verticale, l’impossibile compito di officiare la ricerca di un senso negli interstizi cavi della parola, della sua memoria e della sua fin troppo facile distruzione, lungo i confini di un’indagine dai gesti netti, di una rivelazione quasi testamentaria al di là del tempo e della Storia.
Mi ci trovo a perfezione, sottoscrivo caro Massimo, pur sapendo che sono di almeno una generazione più vecchio di te. Qualcuno ha scritto che provengo “dalla fine del Novecento”. Ho sperperato la vita nel secolo scorso? Quello che era iniziato con la Belle Époque? (ma il terzo millennio con l’orrore dell’11 settembre); è probabile che anche tu abbia attraversato febritante l’incomunicabilità -semplificando- di Sanguineti per giungere a un tempus tacendi consapevole del tragico spappolamento, di urla dopo il disastro e incessanti nevi di fondo che oggi ci tormentano. Sono affascinato dalla bellezza di questi versi in apparenza diluiti ma anche abissalmente criptici. Ti chiedi: ma come è spiegabile che la Lingua costruita lentamente dall’uomo sia diventata meccanismo invincibile, inevitabile trabocchetto? Così il tuo alto Silenzio non può che coinvolgerci nella lotta con l’Altro in noi. Siamo solo molecole? Sopravvive qualche onda gravitazionale? Saremo sconfitti? Non importa. Bisogna lavorare fidenter.