Brevi memorie di Francesco Leonetti
Adam Vaccaro
L’immagine di Francesco Leonetti che rivive in me è di energia intensa, di lingua che affonda subito nelle cose e nei sensi, sia di chi ascolta sia del corpo del proprio discorso. Lingua, in ogni caso, critica sull’esistente. Gli diedi qualcuno dei miei primi libri di poesia negli anni ’90 e, quasi con mia sorpresa, mi comunicò subito il suo apprezzamento di una scrittura, da lui giudicata di “impatto di forte espressionismo”. Questo mi incoraggiò a proseguire scambi e contatti, in particolare relativi al mio progetto che nella seconda metà degli anni ’90 era incentrato su quello che poi prese il nome di Milanocosa.
Mi sostenne quando il progetto riuscì a darsi una consistenza, grazie alle adesioni di tanti amici, milanesi e no, non solo letterati,. E, soprattutto quando nel 2000 arrivai a definire quel momento importante che fu il “Convegno Scritture / Realtà”, del 18 e 19 novembre 2000, divenne (insieme, tra gli altri, a Giuliano Gramigna, Gilberto Finzi, Gio Ferri) uno dei miei interlocutori più importanti per la definizione di quell’evento. In particolare, i colloqui con lui e Gramigna furono decisivi, per definirne il nome. Poi, insieme a un consistente gruppo di lavoro, vennero scelti oltre 50 relatori dei campi e linguaggi più vari (che andavano dalla poesia alla critica, alla psicoanalisi, alla filosofia, alla scienza, all’arte visiva ecc. ) con cui Milanocosa diventò fatto di rilievo nel panorama culturale di Milano e oltre (cfr Atti Milanocosa del 2003).
Francesco Leonetti fu ovviamente tra i relatori intervenuti, con una serie di “Osservazioni” sintetiche e acute, ancora attualissime, e che in parte riporto qui di seguito:
“Avviene oggi, dal Novanta in poi, una modificazione forte del contesto economico-sociale, e, relativamente, della percezione e – nello specifico – delle pratiche di ricerca letteraria e artistica e saggistica. Già a me pare che il rapporto fra l’invenzione letteraria (o scrittura) e la comunicazione fosse non bene posto: e i teorici anche giovani (per esempio nel gruppo di “Baldus” – o gruppo ’93) hanno parlato piuttosto di “idioletto” che della letteratura come una forma della comunicazione.
“È vero peraltro che è divenuta decisiva “l’estetica della ricezione”, con determinazione del ‘pubblico’ rispetto all’autore e al testo; questa posizione di Jauss, fondata sul piacere della lettura, è stata malintesa o male usata, con riduzione di criticità, e di innovazione.
“Ora, certo, sono i mutamenti complessivi, ampiamente studiati ormai, dalla “immaterialità” (secondo Lyotard negli anni Ottanta, o nell’uso recente di Negroponte caratterizzato dal bit) alla “globalizzazione” stessa con distacco dai territori e contraddittorità dei localismi, a indurre uno svuotamento disorientante della nostra idea di realtà. Rispetto a ciò, non mi pare che le scritture abbiano potenzialità d’intervento, né variazione di statuto.
“E la crisi dell’intellettuale e quella del libro sono ben note. Si può forse dire che perdura – o può darsi in continuazione o svolgimento – una “resistenza culturale”, come scrivono P. Bourdieu e anche M. Augè, ovvero che, in antitesi alla dominanza delle immagini (dette anni fa da Argan “percezione senza pensiero” ), o, se si vuole, in contrasto con la “finzionalizzazione” in corso, permane una capacità degli scrittori di connettere all’”‘immaginario collettivo” autenticamente inteso, un proprio testo.”
Sempre in quel convegno, intervenni con una relazione che ruotava intorno alla questione del tempo e della sua elaborazione mentale da parte dell’identità soggettiva. Una relazione che poi divenne capitolo della Parte introduttiva del mio libro di ricerca teorico-critica “Ricerche e Forme di Adiacenza”, pubblicato da Asefi Terziazia, Milano, 2001. Leonetti ne curò poi, fra l’altro, una recensione puntuale, pubblicata su “L’immaginazione”.
Estraggo qualche breve passo di quella mia relazione che, non a caso, lo richiamava:
“Ogni identità si costituisce e assume senso, diventa reale, nell’interazione con l’Altro da sé. È anche la tensione profonda di questo convegno. Che tende a suo modo a ripensare ‘la questione del soggetto’, (come dice Francesco Leonetti, in ‘Campo – la ricerca in letteratura, arti, scienze’, N° 12, 1999, p. 286 – Suppl. al N°150, ott.. ’98, de ‘L’immaginazione’”), quale luogo e nodo centrale in cui ricollocare l’Uno, il Tutto e ogni metaforizzazione o categoria mentale; tra le quali quello di realtà.
“Leonetti fa riferimento alle ricerche più “recenti della biologia e della neurofisiologia”; e richiama la teoria dell’Autopoiesi dell’identità soggettiva, fondata su più livelli via via più complessi: immunitario, psico-motorio e socio-linguistico. Ognuno di questi livelli si definisce solo nell’interazione con l’ambiente; e tra essi si attuano infinite combinazioni temporanee, reali e virtuali al tempo stesso, in rapporto all’intreccio di esperienze che il soggetto va elaborando. Ripetere che ogni identità è determinata dall’Altro, che è quindi (anche) l’altro, può apparire persino banale.
“Beninteso, ciò non vuol dire inventare forme di “‘politicizzazione dell’arte’”, contrapposte alla “estetizzazione della politica” (Benjamin), intesa come marketing e maquillage cero-ideologico (vedi le statue di cera di gran parte dei politici); vuol dire porsi (almeno!) il problema del vuoto di “progettazione alternativa”; da cui forse nasce, proprio in chi vuole esprimere opposizione all’esistente, un eccesso di tensione verso l’innovazione (solo) tecnico-formale.”
Sono richiami e punti decisivi, ancor più oggi, dopo quasi vent’anni di chiacchiere a vuoto e degradi crescenti, intorno al mito di una società liquida, in realtà sempre più autoritaria e rigida rispetto a ipotesi di un suo cambiamento critico, mentre sta cambiando la nostra capacità antropologica di determinare un futuro più umano.
Sono i richiami di attenzione culturale che Francesco Leonetti mi ha trasmesso, non solo con le sue analisi pluridisciplinari, ma anche con un dono di amicizia che mi commuove e di cui sono orgoglioso.
***
Francesco Leonetti, poeta, narratore e critico, ha attraversato le maggiori esperienze letterarie del Novecento. Amico personale di Pier Paolo Pasolini e Roberto Roversi, con loro partecipa come redattore alla fondazione della rivista “Officina”, nel 1955. Negli anni Sessanta partecipa alla stesura de “Il Menabò”, rivista culturale fondata da Elio Vittorini e Italo Calvino. Nel 1964 è eletto segretario del gruppo italiano (Vittorini, Moravia, Pasolini, Calvino) per un giornale internazionale di scrittori che non ebbe sviluppo, il “Gulliver”. Questa esperienza lo porta ad aderire al movimento della Neoavanguardia alla continua ricerca di nuove sperimentazioni formali. Negli anni Ottanta entra nella redazione della rivista “Alfabeta” per poi fondare alla fine del secolo passato “Campo”. Poligrafo per vocazione e per scelta estetica, filosofica, politica, la sua opera appare come un laboratorio in cui i reparti si trovano costantemente in attività per la produzione di testi poetici, di romanzi, di interventi critici, di pamphlet, di proposte politiche, di scritture ragionative, di analisi sociali.
Alla sua attività di scrittore e di critico, ha anche affiancato quella di critico d’arte. E’ noto il suo sodalizio con Arnaldo Pomodoro. E’ stato anche attore nei film di Pasolini e della Cavani. E’ sua la voce del corvo in “Uccellacci ed uccellini”. E’ lui il pastore che porta Edipo, è lui Erode. E’stato anche presenza costante in Milanopoesia in sodalizio con Gianni Sassi e Gino di Maggio. Ha pubblicato libri di poesia in cui ha esordito giovanissimo, con Una perduta estate e poi La cantica (1959), Percorso logico del’960-75 (1976), In uno scacco (1979), Palla di filo (1986), Le scritte sconfinate (1994), La freccia (2001), Versi estremi (2009). Tra le opere di narrativa e saggistica: Fumo, fuoco e dispetto (1956), Conoscenza per errore (1961), L’incompleto (1964), Tappeto volante (1967), Irati e sereni (1974), Campo di battaglia (1981), I piccolissimi e la Circe (1998), Le storie furiose (2003).
Le tante attività di questo straordinario intellettuale si collocano in una visione dell’attività culturale come “lavoro mentale”, in cui la cultura umanistica – la lingua di Campanella e dei vociani, come dice di se stesso – si innesta su una robusta impronta filosofica e scientifica, e costituisce il carattere neoespressionistico della sua scrittura. Professore di filosofia, ha lavorato in biblioteche e in case editrici; e insegnato estetica all’Accademia di Brera.
Caro Adam, il tuo ricordo di Francesco Leonetti è davvero appassionato e commovente. Anch’io lo ricordo (sia pure nei contatti letterari più che di persona) come un intellettuale raro ed indimenticabile.
Grazie di questo tuo scritto, mentre sono vicina a te, ai suoi cari e a tutti gli amici in una circostanza davvero tanto dolorosa.
Un saluto partecipe da
Mariella B.
Grazie, Adam, per questo appassionato ricordo di Leonetti.
Grazie di avere informato chi non ne conosceva tutto il percorso intellettuale, artistico e specificatamente poetico.
Condoglianze alla moglie e a tutti noi.
Ricordare un intellettuale puro, impegnato, dinamico come Leonetti è veramente molto ma molto importante, proprio perché il suo pensiero non ha perso attualità, anzi appare come un punto di riferimento critico per ripensare il nostro atteggiamento nei confronti del testo e della società letteraria. Grazie Adam Vaccaro, grazie di cuore.
Ringrazio commosso queste partecipazioni e condivisioni, sensibili e competenti
Un’altra coscienza autentica e libera che ci abbandona. Il mondo resta più triste quando perde un poeta.
la perdita di un grande poeta come Leonetti, ci addolora e ci commuove
Caro Adam, Francesco Leonetti merita le tue belle e affettuose parole ed ancora di più. Sono questi frangenti a mostrare come la morte sia davvero un evento idiota per l’uomo; ancor più, per un intellettuale come Leonetti, un evento davvero non necessario: va via una frazione di humanitas.(…) Oh la vita, la vita, la vita! / Non c’è modo di renderla vera! / Puoi vederla talvolta morire / o sognarla, / certe volte ascoltarla; / puoi cantarla e non farla avvertire / non c’è modo di renderla vera! Sono versi estrapolati da una mia poesia in “Punto e a capo” Marcus 2007. Mi sono parsi improvvisamente lucidi alla notizia di questo bruttissimo evento.
Ti ringrazio, caro Salvatore, di questua tua intensa condivisione e adeguati questi tuoi versi!