Scarti Alfabetici – Paolo Gera e Alessandra Gasparini

Pubblicato il 20 gennaio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

L’Enigma e il Gioco
Adam Vaccaro

Paolo Gera, Scarti alfabetici, con Abbeccedario di Alessandra Gasparini, Terra d’ulivi Ed. 2024

I libri di poesia – come nell’esempio offerto da questi Scarti alfabetici di Paolo Gera, con opere di Alessandra Gasparini – si muovono su due binari di senso: bisogno di aiuto e piacere del gioco. La forma, la titolazione e la veste tipografica della copertina ricordano un album scolastico, con colori vivaci consoni a fantasie infantili, giocose ma a tratti angosciose, quali quelle che strutturano ogni fiaba, che oscilla sempre tra rosa e nero, tra fiduciosa attesa e minacce, che implicano richieste di consolazione e aiuto.
Aggiungo che i due linguaggi, verbale e figurativo, si compenetrano in questa pubblicazione d’arte, con disegni che traducono in modi autonomi ma adiacenti gli echi dei versi, lungo il percorso espressivo di Paolo Gera, che qui sviluppa le tematiche del libro precedente, Ricerche poetiche. Nella sua Introduzione, Paolo sintetizza il complesso intreccio cercato, partendo da una citazione del filosofo Giorgio Colli, in cui “l’enigma sorride” anche se “interviene sullo sfondo il presentimento della ferocia…di una violenza spietata”.
Disegno che in me genera l’immagine di un toboga che scivola nell’indefinito, nell’Autore produce l’ossimoro di uno “schiaffo allegro”, su una “altalena” incessante e senza soluzioni definitive, tra “Il sì e il no”. Ne deriva che se la poesia si misura con la complessità della vita, trova forme nelle quali “La poesia è gioco ed enigma”. Bipolarità irrisolta persino ne “La dolcezza della madre”, che non cancella “la sua violenza, i suoi pensieri imperscrutabili”, mentre “mi afferrava i polsi e mi faceva dondolare” senza poter eliminare il timore di battere “la testa con violenza contro il pavimento”. È un illuminante scorcio di memorie infantili, nucleo epifanico della poetica dell’Autore, di voler “trasformare un gioco linguistico in poesia”. (pp. 5-6).
Un gioco, che se in Ricerche poetiche va dalla lallazione primaria all’articolazione di parole di senso e denominazione compiuti, qui ci offre il percorso opposto, che ricava da una parola scarti verbali, dopo aver eliminato via via, lettere e sillabe. Ne deriva un gioco serio, ricco di stimoli, con i quali Gera mostra l’enigma custodito da ogni parola, dietro l’apparente chiarezza del suo nome. Evidenziando con ciò che ogni parola non è un termine, ma un inizio. Un abbrivio, tuttavia, di libera impotenza, senza punti di arrivo solutori.
L’enigma non si scioglie, e le 21parole scelte, “una parola per ogni lettera dell’alfabeto italiano dall’A alla Z” sono sbucciate come cipolle e, strato dopo strato, diventano metafore di vuoto terminale e di scarti nel nulla. Detto altrimenti, ogni parola è una somma di bamboline nascoste in una matrioska, che apre, invita, illude e allude, a una esplicazione molteplice e sospesa, che perviene a scarti privi di senso. E tuttavia, il percorso del libro non ripiega su un pessimismo nichilistico, perché fa brillare l’energia di una scossa amorosa tra violenza e sorriso, sintetizzata in uno schiaffo allegro, che “cerca di capirci qualcosa, di quest’epoca di parole incerte, spezzate, violate” ma “resistenti”, come ribadisce nella sua nota, Alessandra Gasparini.
Talché, ogni testo ci immette in un pozzo dei desideri, senza uscita, ma ci regala ali di risalita, rispondendo così a suo modo al sottotesto, di richiesta di aiuto del poièin. Che qui, in ogni poesia sprigiona scintille di invenzioni, di cui ci limitiamo a citare pochi brani tratti dalla prima e dall’ultima, riferite alle lettere A e Z.
E non a caso ho utilizzato la metafora dell’ala, suggerita dal primo testo, che si snoda a partire dalla A di Alea: ALEA-ALE-AL-A:
“L’alea ha prodotto/ questo entanglement/ di lettere e parole/ l’alea è rischio/ il dado che tira/ il crocicchio a cui si ferma Edipo/ l’azione del destino e la destinazione/ dove la linea diventa verticale/ l’abisso classico, lo sprofondo grave”. E in tale sprofondo “Appare ale”, co-autrice “compagna d’impresa” del libro, con un lampo autoironico finale; “Rimane a, la prima/ di questa impresa assurda/ termine iniziale e finale.” (pp.9-10).
L’ultima poesia, dedicata alla Z di Zero, titola: ZERO-ERO-ER-R:
“Quanto doveva il gioco è durato./ via dal tavoliere le pedine e i dadi, le carte coi valori e gli imprevisti,/ proprietà dei poetici nomi./ Questo mio gioco senza meraviglia/ io do all’incanto./…/ e zero è solo zero./ Se guardo indietro ero una dea africana/ una bestia feroce accanto al focolare/ un gruppo di scrittori sovversivi./ Ero una bimba saltata su una bomba,/…/ Una r alla giugulare, arrotata al punto giusto” (pp. 57-58).
Confido, anche solo con queste limitate citazioni, di riuscire a sollecitare la lettura, e aggiungo quanto ribadito da Paolo Gera in chiusura della sua Introduzione: “Le mie 21 parole piene di altre, corrispondono ai 21 Arcani Maggiori, più il numero zero, che nei tarocchi come nel mio mazzo corrisponde al matto, alla libertà finale che non ammette freni.”. Una rivendicazione che nel libro, come spero di avere mostrato, è svolta in un controcanto critico di ogni delirio di onnipotenza, quale declinato dall’ideologia dei poteri in atto.
20 gennaio 2025

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Anticipazioni – Pasquale Lenge

Pubblicato il 9 gennaio 2025 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Pasquale Lenge
Inediti

Con nota di lettura di Luigi Cannillo

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Nota di poetica
Nell’intercettare, senza un mandato, il residuo di poesia nel mondo contemporaneo, disumanizzato e compromesso nelle fondamenta, il poeta ha il compito e la necessità di ribaltare la lingua in ogni suo aspetto: non si può esprimere una denuncia con i linguaggio del potere. Sottolineando l’inutilità di una poesia di plastica, non duratura, legata alle emozioni e all’epigonismo, se non alla vanagloria mondana di riscatto individuale. L’esercizio poetico deve farsi portatore di Bellezza, non solo nominandola nella ricostruita Torre di Babele o dalla torre d’avorio, ma mettendola in relazione con l’origine. L’origine di ogni cosa bella ha la sua espressione nella giustizia. Un etica espressionista, senza ambizioni moraleggianti o scorciatoie retoriche, che sia utile almeno per chi la scrive e per chi la legge, nel cammino comune nel sentiero meno battuto, unico e irripetibile. “Medicamenti empirici e pericolosi” è il titolo provvisorio della mia silloge in pectore: definizione del lemma intruglio che tento di illimpidire.

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Le cose del mondo – Paolo Ruffilli

Pubblicato il 7 gennaio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

LA PAROLA PER ESSERE NEL MONDO

Adam Vaccaro

Paolo Ruffilli, LE COSE DEL MONDO, Mondadori, Lo Specchio, 2020

Questo libro di Paolo Ruffilli rientra appieno nel sogno e bisogno da me sempre coltivati, di versi capaci di parlare di sé parlando dell’Altro, in un continuo entresci teso a dare forma alla molteplicità del Sé. Detto altrimenti, ne deriva un disegno poematico di passi nell’ignoto dell’autopoiesi, che man mano dischiude l’intreccio di una prassi che decostruisce materia, corpi, pensieri ed emozioni, cancellando i nomi ricevuti per ricostruirli e ridargli nuova vita. Ne deriva una narrazione di gesti del daimon socratico, che esiste e resiste, nel percorso diacronico del Soggetto Storicoreale (SSR), solo generando punti di attimi d’infinito del sincronico stato modificato di coscienza del Soggetto Scrivente (SS), in cui si rinnova la vita, anche attraverso il fulgore e l’illusione dell’arte primigenia di dare nomi nuovi alle cose del mondo.

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Marcio d’Occidente – Piergiorgio Odifreddi

Pubblicato il 22 dicembre 2024 su Saggi Società da Adam Vaccaro

Reificazione e deificazione neoliberista del capitalismo globalizzato
Adam Vaccaro

Nel libro di Piergiorgio Odifreddi, C’è del marcio in Occidente, Raffaello Cortina Editore, 2024, p. 261
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Una prima versione di questo saggio è sulla Rivista “Odissea” del 22 dicembre 20024
https://libertariam.blogspot.com/2024/12/ce-del-marcio-in-occidente-di-adam.html

I-1
Questo libro di Piergiorgio Odifreddi regala un vento benefico che irrompe in una atmosfera soffocata da smog sempre più irrespirabile, e ci aiuta a spazzarla via.
È un vento di irrisione di ogni falsità spacciata come verità, dai poteri in atto, in Occidente, ma non solo, nel presente, ma non solo. E per farlo somma una impressionante dotazione di conoscenze pluridisciplinari, dalla filosofia, alla storia, alla letteratura, all’economia, ma non solo. Perché, se si vogliono smascherare i crimini e le menzogne del potere, o meglio, dei poteri storicamente articolati in Occidente, occorre dotarsi di adeguate ricchezze di conoscenze delle sovrastrutture portanti la realtà complessa in cui viviamo. La quale ci riversa verità apodittiche e ideologiche, attraverso un esercito mai così vasto di propaganda massmediatica, con la quale ci raccontano di essere i più liberi e i migliori custodi della Verità e del Mondo secolarizzati. Ne deriva un pensiero unico e assoluto, consono alla radice patriarcale di un fondamentalismo religioso su cui è cresciuto, che ha sempre ucciso socialmente e fisicamente, ogni obiezione critica, o visione altra.
Odifreddi è un esempio, tra i pochissimi, di superamento della divisione tra le due culture – umanistica e scientifica – fonte di impoverimento delle nostre possibilità di conoscenza, e conseguentemente di libertà concreta rispetto alle falsità spacciate e necessarie alla gestione di ogni potere. Tale indirizzo è seguito dall’Autore con passione, coraggio e un lavoro incessante di acquisizione di strumenti di analisi nel corso dei suoi decenni di vita, che questo libro sintetizza con efficacia, non solo di argomentazioni, ma di esposizione chiara e divulgativa, che rende la lettura delle sue 260 pagine, un attraversamento benefico dei temi e problemi intricati con cui, qui e ora, ogni persona dalla mente minimamente viva si confronta quotidianamente.
Tuttavia, la sua apertura di ricerca, non penalizza una critica serrata rivolta a pressoché tutti i pilastri millenari della nostra identità culturale, a cominciare da quella umanistica “Gli umanisti… dall’Ottocento in avanti hanno rimosso le vere origini dei Greci, inventando il mito di un popolo unico che arrivava dal nulla, e di un sapere unico che non si basava sui nulla… di una razza pura e di un pensiero puro, senza contaminazioni biologiche e culturali. Un mito colonialista, razzista e protonazista durato quasi due secoli, che ha cominciato a essere smantellato soltanto negli anni Ottanta del secolo scorso” (pag. 141-143). È stato in effetti un frutto malsano de Le Origini rimosse, analizzate dal libro di “Martin Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica (Il Saggiatore, 2011)”.
È un tema enorme di cui mi limito qui a citare qualche spunto, con la finalità di sollecitare la lettura del libro e ulteriori approfondimenti, su questo come sul corollario di problemi complessi sollecitati da un testo spoglio di ogni connotato ideologico, motivato dalla conoscenza di un sistema di potere invisibile e presente in cielo in terra e in ogni luogo, al pari del Dio inventato dai suoi figli prediletti.
Ma mentre quel Dio è silente o parla solo a chi è acceso dalla sua fede, il dio dell’impero odierno continua a parlare e assordarci, raccomandano di mai disconnetterci, perché solo così diventiamo, piccoli atomi del suo corpo, alimento e merci di un circuito incessante di suoi e nostri deliri. È il più potente dio mai creato, perché è dentro di noi, anche non credenti, fatto di cose, succhiate come ostie, senza bisogno di un ministro e una messa. Perché di ministri ne ha un numero immenso e la messa non è solo la domenica, ché è di ogni giorno e notte, senza interruzioni. Una messa officiata da cori di voci trasmutate in meccaniche, fonti di una realtà virtuale, rispetto alla quale è difficile resistere e non farsi ridurre a illusi senzienti senza realtà:
“Oggi viviamo infatti in un rintontimento collettivo in cui non contano i fatti, ma solo le fantasie. E non tanto quelle istituzionalizzate come la religione, la metafisica e la letteratura… Quanto piuttosto quelle… del divertimento immediato e mediatico: film, serie televisive, programmi spazzatura, talk show, videogiochi, giochi di ruolo e parchi di divertimento…Oltre al Grande Fratello televisivo, che paradossalmente ha tutto di huxleyiano e niente di orweliano” (p211).
È una giostra di illusioni e divertimento, di cui è perno l’industria della pubblicità, il più parassitario, redditizio e fiorente settore economico di questa decantata era della libertà, canestro di chiacchiere, falsità e idiozie che producono soggetti omologhi, quali definiti dalle analisi del meme, delle nuove scienze: la mente fatta anche di neuroni-specchio, che la sua anima bambina, affamata spugna di immagini e suoni, trasmuta attraverso i cinque sensi del ‘cervello bagnato’ (come chiamato da Rita Levi Montalcini) in pandolce da succhiare, prima di verificare se è un panettone inondato dalla muffa.
“Questo spiega la vera e propria epidemia di stupidità che ‘per l’universo penetra e risplende’… prodotto di veri e propri virus della mente”, messi in scena “dal gran circo dei media” e “che si diffonde non perché meriti… ma perché più adatto a farlo”, che “non significa affatto ‘migliore’, e confondere le due cose può causare guai… significa soltanto ‘più contagioso’, e spesso ‘letale’” (pp. 56-57)
Se la letteratura, la poesia e la musica erano condimenti della pietanza della vita, che comunque aiutavano a sentirne il sapore e quindi a conoscerne la sostanza, tanto da poter dire che la poesia in ogni forma era ciò che dava nome alle cose, nel circo mediatico dello spettacolo contemporaneo, ogni funzione di conoscenza della realtà è polvere drogata di emozioni che – con diluvi di cartoons, serial killer, fantasy, soap opera, supereroi ecc. – devono infarcire la capacità di pensare, scodellando un polpettone che diventa la vera realtà mentale. La civiltà dello spettacolo e dell’immagine è un traghetto delizioso di arma di distrazione di massa, che senza una visione critica, castra la capacità di elaborazione conoscitiva della complessità di sé e dell’altro. Il che diventa una vera festa per il dio al potere, se “i nostri occhi sono perennemente puntati su uno schermo, del cellulare, del computer, della televisione, del cinema o dei videogiochi. Raramente interagiamo con altri esseri umani o con il mondo esterno.” (p. 211).
Il risultato è una massa alienata e passiva di atomi singoli senza identità e comunità, che realizzano il sogno neoliberista di E. Thatcher: “non esiste la società, esistono solo gli individui”. L’essere sociale è cancellato e nel suo vuoto regnano libere le catene invisibili del dio che decide vita o morte di miliardi di esseri viventi (umani e no) con dei clic. Il libro di Odifreddi è, all’opposto, corpo di testo che riafferma come il processo autopoietico dell’identità individuale è alienato, perduto e impossibile, senza l’interazione con l’Altro, costruita entro una complessità e molteplicità sociale e culturale. Per cui una identità individuale o è propaggine di una collettività, o non è. Ed è solo il misticismo che fa della propria potenza di immaginazione un illusorio colloquio e cammino con e nella Totalità personificata nell’Altro, nell’alto dei cieli.
Delle tante interazioni di cui il libro si fa scrigno di ricchezze, c’è quella con lo scrittore portoghese Josè Saramago, del quale si ricorda che “il suo Vangelo secondo Gesù Cristo (1991) fu censurato in Portogallo, andò a vivere in volontario esilio nelle isole Canarie, fino alla morte. E dopo uno dei periodici eccessi di difesa perpetrati da Israele nei confronti dei Palestinesi, fu accusato di antisemitismo per aver dichiarato: Mi chiedo se quegli ebrei che morirono nei campi nazisti non proverebbero vergogna per gli atti infami che i loro discendenti stanno commettendo. (p.215). E, a tale proposito, Odifreddi ricorda che “Per difendersi dal disdegno nei confronti delle disumane azioni israeliane, soprattutto quelle dei governi di ispirazione nazifascista del Likud di Begin, Sharon e Netanyahu, gli ebrei hanno iniziato a confondere ad arte “l’antisionismo contro la politica israeliana e l’antisemitismo contro il popolo ebraico” (p.120)
Il pensiero critico di Saramago evidenzia come la democrazia politica, diventi illusione democratica entro una struttura con un “unico indiscutibile potere: la finanza mondiale”. Per cui concludeva: se la “democrazia economica ha ceduto il passo a un mercato oscenamente trionfante” e la “democrazia culturale” rientra anch’essa tra i prodotti sussunti dalla “massificazione industriale” della giostra dello spettacolo, rischia di aggiungersi ai fiori di arredamento di una sovrastruttura priva di capacità dialettica di incidere sulla realtà dell’invisibile potere dominate, talché “Noi non stiamo progredendo, ma regredendo” (pp.216-217)

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Appello Poeti per la Pace a Gaza

Pubblicato il 20 dicembre 2024 su Senza categoria da Adam Vaccaro

Don’t Kill, Let’s Talk

Poets’ appeal for dialogue

With the conviction that every act of violence must be condemned, but also the absurd continuous massacre of civilians in GAZA only fuels incurable injustice and hatred and is configured as a ferocious and inhumane act, we firmly ask for the initiation of a credible and authentic DIALOGUE that leads to the concrete settlement of disagreements with the PERMANENT CEASEFIRE, THE RELEASE OF HOSTAGES ON BOTH SIDES, THE END OF APARTHEID. As writers of poetry, we strongly believe in the effectiveness of the word, the only one capable of profoundly clarifying every friction and arriving at a just recomposition without inhuman outcomes and massacres of innocents. Building a new humanism is possible if we accept the fundamental principles of the dignity and freedom of every people and person for a coexistence based on respect for human rights and every identity, without prevarications: the only fertile ground for ensuring a future of peace and well-being for the new generations. As poets, we defend the freedom to think, dream, and express ourselves, and we use poetry to continue to put out every fire.

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Auguri 2025

Pubblicato il 9 dicembre 2024 su Temi e Riflessioni da Maurizio Baldini

Auguri 2025

di nuova luce

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Milanocosa

Mentre oscilli nell’angolo avaro di questo tempo scuro

 Continua incessante nel suo cerchio

L’esplosione e la magia di tutta l’altra luce che cerchi!

Adam Vaccaro 

L’Icaro di Cannillo

Pubblicato il 5 dicembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

LUIGI CANNILLO
Icaro moderno tra galassie di pensiero e poesia
Donato Di Poce

Matisse nel suo “Icarus” ci consegna un’ombra nera danzante o in caduta tra le stelle.
Giordano Bruno ne scrive un ritratto struggente: «La voce del mio cor per l’aria sento:/ «Ove mi porti, temerario? china,/ che raro è senza duol tropp’ardimento»;/ «Non temer (respond’io) l’alta ruina./ Fendi sicur le nubi, e muor contento:/ s’il ciel sì illustre morte ne destina».
Bachelard vede il mito di Icaro come caratteristica dell’immaginazione dinamica rappresentata nel motivo poetico del volo «nostalgie inexpiable de la hauteur » .
Ragozzino ci regala un Icaro astronauta che vola ironico e irridente con ali scheletriche nei cieli del futuro, o almeno così ce lo ritrae nella splendida cover del libro di Cannillo “Between Windows ad Skies”, Gradiva Publications, New York, 2022.

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Polifema – Gabriella Cinti

Pubblicato il 2 dicembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Gabriella Cinti, Polifema, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2024. € 16
Nota critica di Laura Cantelmo

Vi sono forme di scrittura che suscitano un’immediata vicinanza, una condivisione con il pensiero e il sentire dell’Autrice/Autore, sia che si tratti di poesia, di narrativa o di filosofia. Nella contaminazione dei generi si inserisce questo libro bellissimo e singolare di Gabriella Cinti, Polifema, che, nella sua complessità e nella sua verità trova risonanza nel cuore di ogni donna e può essere di monito per ogni uomo. Non solo un romanzo d’amore, ma un vero e proprio trattato sull’amore, quel sentimento che, pur nei suoi aspetti dolorosi e spesso crudeli, induce alla scoperta di luoghi magici e di “regioni disabitate” e sconosciute, in quanto manifestazione sub specie aeternitatis dell’essere umano nella sua totalità. L’Autrice è scrittrice di profonda cultura classica e grande sensibilità, nota principalmente per il suo valore di Poeta e di studiosa, per la cura che dedica alla parola, di cui, come grecista, nello scandaglio delle origini più lontane (come nella sua più recente raccolta poetica, Prima, puntoacapo ed. 2023) porta alla luce la ricchezza e la complessità del linguaggio.
Punteggiato di lemmi in greco antico, che ne indicano le raffinate sfumature di significato, Polifema palesa delicatezza di sentimenti e profondità del pensiero, segno di una sensibilità di donna che ha “intelletto d’amore”, giustamente definibile come “cuore pensante”. Quella della protagonista, Marzia Volo, è il racconto del suo rapporto con Giorgio, suo primo e unico grande amore: “All’amore primo” è il titolo eloquente del capitolo iniziale. Una vicenda che si protrae per decenni, in un’alternanza di notti appassionate – al termine delle quali l’estasi vede il suo tracollo con il sorgere del sole – e lunghi periodi solitari. Muovendosi con lieve luminosità attraverso piani temporali diversi, tra il ricordo dei primi approcci e gli incontri in età matura, la storia procede tra passato e presente focalizzando sempre più i limiti della figura di lui, dovuti a una maturità mai raggiunta e a una palese forma di egoismo. Una realtà che Marzia, intelletto e corpo vibrante, mirando nella sua limpida nudità a una completa fusione con l’amato, non riesce a vedere, perché accecata, come il mitico Polifemo.
L’unità perfetta come massima aspirazione nell’esperienza d’amore è un tema trattato nel Simposio di Platone. Oltre a descrivere la duplice e natura di Eros, dio dell’Amore, il dialogo spiega come quella tensione rappresenti la nostalgia dell’unità primigenia originale, risalente al tempo in cui l’essere umano comprendeva in un unico corpo due entità, di sesso uguale od opposto, successivamente divise dall’ira di Zeus. Come sempre, sotto forma di simbolo, il mito svela verità a noi negate, quali l’inesausta ricerca, nella relazione amorosa, di quella metà che Zeus aveva violentemente separato. Eros, essendo figlio di Poro (“l’Espediente”) e di Penia (“la Povertà”), a quelle significative origini deve la sua inquietudine e l’ambiguità nel saper esaltare le potenzialità del corpo e dell’anima degli amanti, facendoli sognare nelle loro reciproche intime esplorazioni, per poi provocare ai loro cuori pene devastanti. Ben si accorda alla duplice natura di Eros il modernissimo Carme LXXXV di Catullo: “Odi et amo. Quare id/faciam, fortasse requiris./ Nescio, sed fieri sentio/ et excrucior.”(“Odio e amo. Forse/ chiederai come faccia/ Non so, ma sento che accade/ e mi tormento”). L’ossimoro iniziale, dalla eloquente forza assertiva e l’intera composizione, nella sua stringata semplicità, ne evidenziano l’indubbia attualità. Una contraddizione che lapidariamente illustra la natura complessa dell’amore, alludendo al dolore che esso comporta.
La narrazione è percorsa dalla storia degli incontri dei due amanti, oltre che da un conflitto interiore che tormenta Marzia, donna dal nome simbolicamente combattivo- una vera amazzone- sulla misteriosa ambiguità di Giorgio e sulla differenza nel loro sentire. Su come possa Giorgio riservare a lei pensieri sublimi senza accettare nella sua totalità un rapporto così profondamente radicato. Benché l’ossessione abbia assunto le forme di una dipendenza che non dà tregua a entrambi, la figura di Giorgio risulterebbe incomprensibile se non analizzata sulla base di usanze o di mentalità di antichissima origine, ancora vigenti nella società in cui viviamo. Inevitabilmente, in sintonia con la protagonista, il lettore si pone le stesse domande di lei. Appare evidente che Giorgio abbandona quella magica intimità, quel corpo palpitante e quel vivido intelletto per seguire il solo modello di vita nel quale ragione e sentimento, pensiero e natura sono stati forzatamente separati, per dedicarsi agli affari quotidiani, a causa di un infantilismo di fondo, coltivato nel rassicurante rifugio della famiglia. Poiché solo attraverso la separazione e la frantumazione dei compiti sociali lui trova l’unica possibilità che consente al suo equilibrio di realizzarsi, rendendolo uguale ai suoi simili: “una sorta di sindrome della palude, quel luogo stagnante, ma imbottito di sicurezze da cui molto uomini hanno letteralmente il terrore di allontanarsi, pur coscienti che la libertà sia altrove.”(p. 209) Seguono parole forti, che scolpiscono la miserabile inferiorità di Giorgio e di quelli come lui :”Una specie di brodosa placenta in cui l’egotismo infantile di certi uomini sembra trovare il proprio habitat ideale e nessuna virilità ostentata può occultare questa verità di fondo.” (p. 209).
A tal proposito troviamo ne La Gaia scienza di Nietzsche una riflessione illuminante, riportata da Simone de Beauvoir: “Ciò che la donna intende per amore […]è un dono totale del corpo e dell’anima […] Ė questa condizione che fa del suo amore una fede, la sola che abbia. Quanto all’uomo, se ama una donna è quest’amore che vuole da lei, perciò è ben lungi dal postulare per sé lo stesso sentimento che per la donna; se si trovassero uomini che provassero anche loro questo desiderio di abbandono totale, in fede mia, non sarebbero uomini.”. (in: Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, p. 231). Non stupirà il punto di vista di un uomo di tal levatura, benché di epoca a noi lontana, perché purtroppo crediamo sia invalso ancor oggi considerare la differente postura della donna e del compagno, nei riguardi dell’amore, “come legge di natura”.
Le figure dei due amanti assumono di volta in volta dimensioni diverse: lei, allontanatasi dalla famiglia, vive quell’amore come un bene assoluto, totalizzante, che dà senso alla vita. La sua passione per l’assoluto, nel corso della narrazione, la eleva sempre più a figura mitica, mentre lui, “uomo senza qualità”, come lei ben lo definisce, ricorre al sotterfugio, alla menzogna, affronta le scenate della moglie, si mostra straziato, finendo per ripetere il rituale di sempre, perdendosi tra le braccia di Marzia. Tra le due figure è evidente il contrasto tra banale ed elevato, che avvicina il racconto a livelli drammatici. Giorgio incarna uno stereotipo maschile che ancora sopravvive, secondo il quale, in un tempo non molto lontano, avere l’amante era una consuetudine diffusa, mentre le donne, “angeli del focolare”, erano relegate alla cura della famiglia e della casa. Le eccezioni rappresentavano situazioni rare e scandalose, le cui spese ricadevano pesantemente sulla donna. Si pensi alla storia di Sibilla Aleramo.
In concordanza col suo cognome, Marzia Volo sa volare alto, vive la pienezza delle emozioni, diversamente da lui, che, pur soffrendo, ha relegato l’amore a una immersione temporanea in quel mare di felicità, per fare ritorno, ogni volta, alla palude del quotidiano. E l’alternanza di notte e giorno assume un valore simbolico, richiamando alla mente Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, nel quale le ardite e ardenti trasgressioni notturne si dileguano all’alba, riportando ogni vicenda individuale all’ordine prescritto dalla ragione della polis. La fiaba narrata in quella commedia è una forma di mito – cioè, di “racconto” – nella quale ritroviamo lo stesso meccanismo sperimentato da Marzia. Poiché è nelle tenebre che si manifesta la verità del loro amore, mentre alla luce del giorno quella stessa verità viene respinta da lui per tornare alle consuetudini, al “Mulino grigio” della quotidianità – alla falsa felicità sbandierata da una nota pubblicità. Quasi una visione satirica del diverso vissuto dei sentimenti nell’ Uomo e nella Donna, sgorgata dalla geniale intuizione di Shakespeare, della quale non tutti i registi hanno saputo – o voluto- cogliere il senso profondo, scegliendo di privilegiare di quel capolavoro l’aspetto fantasioso e fiabesco. Incarnando i due amanti due differenti archetipi, sarebbe quindi più corretto parlare di un Uomo e di una Donna: lei, posseduta da un bisogno di globalità, vive gli incontri in un’estasi mistica, da cui viene dolorosamente distolta al momento del distacco, mentre lui si dimostra incapace di amare.
Tuttavia, lentamente prende forma in Marzia la consapevolezza di una autolesionistica disposizione ad accettare la situazione a cui inevitabilmente conseguirà un lacerante senso di perdita di sé: “dolore di spreco di amore-vita”.
La presa di coscienza richiede un tempo lungo: “il femminile possiede virtù di eroismo sacrificale cui solo il mito ha dato il giusto risalto” (p.208), ma l’elaborazione di quel lutto ripetuto apre la via al riscatto della propria dignità, alla consapevolezza del grande divario che la divide da Giorgio, fino al raggiungimento della libertà dal legame con quell’ “uomo senza qualità”. Tuttavia, il percorso non è facile, a tal punto è saldo in lei, Penelope inesausta, il vincolo che per decenni le ha letteralmente condizionato la vita, fino a indurla a rifiutare altri rapporti. Scavando nella natura di quell’ossessione, nel percepire quella esperienza radicata e dunque incancellabile, al ritrovarsi sola, nel vuoto e al gelo di fronte all’abbandono, il bisogno di assoluto diviene la sua arma, il sostegno al suo intelletto, per aprire gli occhi che, in quanto Polifema, erano rimasti accecati dalla passione. E nel “riprendere i lineamenti della sua persona”, ricostruendo “le sue diverse sembianze”, Marzia vede finalmente che “le si stava scolorendo nella mente anche l’immagine di lui.” (p. 209).
Il ritrovato senso della vita per chi, come lei, è sempre stata dedita alla parola, allo studio e alla creatività, la induce a diffondere la sua esperienza, affinché altre donne non cadano nella trappola in cui lei stessa è rimasta impigliata. “L’amore è strumento di verità anche se passa attraverso inganni […] ma, quando viene interrogato al termine di una storia si rivela il più diamantino dei tribunali “(p.205). Nonostante il tracollo fisico e psicologico che ne segue, “per aver inglobato il dolore come elemento malato con cui coabitare” – poiché un amore così assoluto non si può cancellare – nella “nuova donna” sarà la parola come pensiero, come ragione di vita, a farle ritrovare il senso dell’esistenza in una maternità: “un figlio di carta, nato dal ventre della sua anima, figlio partenogenetico di sola madre, vestito esclusivamente di parole” (p.211). “Non una gravidanza isterica” ci viene precisato, bensì un generoso dono di sé dedicato alle altre donne. Tornando ad essere voce autonoma, in uno sforzo creativo e pedagogico, teso alla rinascita: “Così si rinasce, come solo il femminile che partorisce il due sa fare” (p.211).

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Anticipazioni – Ivan Pozzoni

Pubblicato il 29 novembre 2024 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Ivan Pozzoni
Inediti

Con nota di lettura di Adam Vaccaro
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Nota di poetica
Il poeta/sophos e l’estetico come frammento filosofico: una philosophical explanation
I miei riot-texts, mera raccolta di testi/documento, verbali d’assemblee d’arte, rivolte alla concretizzazione dell’ideale estetico normativo della democrazia lirica e simbolo di resistenza, o sovversione, contro i valori nomadi delle élites dominanti fondano, tecnicamente, sull’«invettiva» (triade Villon/Brassens/De André), moderata dall’«ironie» (Derrida), dal «citazionismo», dallo «straniamento» (Šklovskij), dalla «carnevalizzazione» (Bachtin), dai «mistilinguismo» e «dédoublement» (De Man), dalla grammatica generativa (Chomsky), dalla «sovversione/eversione» (anarco-individualismo della Post-Left Anarchy) e dall’estremo «impegno sociale» movimentista a tutela dei deboli e dei diseredati, con opposizione allo star system dei dominanti e dell’arte.

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Madri e Figlie – Anna O. Ferraris

Pubblicato il 22 novembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Anna Oliverio Ferraris, Madri e figlie, Gallucci Ed, Roma 2024
Lettura di Laura Cantelmo

Del materno, del complesso legame tra madri e figlie, si parla molto in psicoanalisi: ambivalenza, simbiosi, tutte le fasi attraversate nel tempo, mentre in letteratura quel rapporto che interessa principalmente il femminile, non è sempre stato indagato con attenzione. Possiamo forse ricordare, come esempio, opere come Menzogna e sortilegio della Morante, oppure La Ciociara di Moravia e molte altre, anche in altre lingue, nelle quali quel rapporto è posto al centro, ma non sufficientemente approfondito, per quanto ciò sia possibile. Non dimentichiamo, però, come emblematica, la dolorosa vicenda di Virginia Wolf – l’impronta della madre nella ricerca dell’identità, la perdita di lei, l’assenza devastante. Assenza e perdita mai medicate, mai guarite …
Non è un caso che il nuovo romanzo di Anna Oliverio Ferraris, Madri e figlie, colpisca le fibre più nascoste delle donne. La competenza in campo psicologico dell’Autrice, già Ordinaria di Psicologia dello sviluppo e di Psicologia sociale all’Università La Sapienza di Roma si fonde con una sicura abilità narrativa, che si è andata affinando negli ultimi anni attraverso la scrittura di romanzi, quali Tacchi a spillo e Tutti per uno. Già ampiamente nota al pubblico come saggista, questo ultimo lavoro ne conferma il valore letterario, la capacità di operare sull’intreccio più che sulla fabula, come direbbero i letterati. La tematica annunciata dal titolo viene sviluppata ed analizzata nel corso di cinque storie, nelle quali si dipanano situazioni che propongono ora stereotipi della figura materna che ancora faticano ad essere superati, ora si immergono nell’enigma. Lo scopo è di sollevare il velo sul nucleo segreto di un legame complesso che attraversa fasi diverse, per poi affermare sempre il vincolo imprescindibile e indefinibile di una relazione, nella quale il ruolo materno non è solo quello biologico, ma diviene anche amore e fiducia al di là e fuori dal vincolo parentale, come ha sovente sperimentato lo stesso Movimento delle donne. Ciò che risalta con maggiore evidenza in questo lavoro è la focalizzazione dell’aspetto umano, accogliente e tenero, delle protagoniste dei racconti, frutto di informazioni casuali o di esperienze personali dell’Autrice, che su questo aspetto comportamentale ha indagato con occhio esperto e con attenta partecipazione.
In alcuni racconti in particolare l’io narrante fa riferimento a un’impostazione patriarcale non ancora superata dalla nostra società, concentrata sul potere del paterfamilias, per poi svelare ciò che avviene nella sfera privata, dove sul piano affettivo quel ruolo appare sfocato, se confrontato con quello della madre, responsabile della cura, della salute e dei sentimenti. Uno stereotipo che ancora oggi in qualche forma sopravvive, benché negli ultimi tempi se ne riscontri una certa crisi in senso positivo. Spesso lontano da casa per ragioni lavorative o professionali, il padre ha sempre potuto permettersi libertà inusuali per le donne, storie sentimentali o brevi avventure che lo distraggono, godendo di una vita sociale sconosciuta alla madre. Per questo, in ogni racconto quella del padre è una figura debole, di secondo piano, poco collaborativa e spesso deludente. Sappiamo, inoltre, che il fascismo aveva inquadrato la figura femminile entro un rigido schema di “sposa e madre esemplare”, negandole ogni spazio di libertà e di espressione al di fuori dell’ambito familiare.
Il primo racconto, “Smarrimenti”, ha l’intensità e il palpito di una testimonianza diretta, conferitagli principalmente dalla narrazione in prima persona. L’immagine della famiglia, qui, non si discosta da quella convenzionale, apparentemente stabile e serena, con un padre quasi assente e una madre “santa”. Nell’atmosfera desolata del funerale della madre, una perturbante epifania – l’improvvisa comparsa di un estraneo – induce forzatamente la figlia a scoprire un segreto insospettato. Con un abile colpo di scena l’Autrice mostra come la vita, nelle sue inevitabili incognite, sappia rendere umana quell’immagine angelicata, impigliata in regole sociali da cui solitamente derivano paradossali ipocrisie.
Anche in “Sintonie” il quadro familiare mostra una madre insoddisfatta della situazione coniugale, per l’inadeguatezza del consorte nel rapporto di coppia e per la consapevolezza del suo legame con un’altra donna. La storia si concentra sulla relazione di lei con una figlia adolescente, con i turbamenti e le ribellioni scatenati da una doppia delusione, l’essere stata lasciata dal ragazzo, che si è legato proprio alla sua amica più cara. Un doppio abbandono che rende ancor più lacerante la ferita. Lo sguardo dell’Autrice, molto attento alle reazioni della ragazza, lo è anche verso la madre, insofferente di fronte ad alcuni atteggiamenti della figlia e tuttavia, per distoglierla dai suoi pensieri, ha scelto di invitarla a fare una gita a Venezia. Le vicende che ne seguono vedono il confronto di due situazioni quasi speculari – un padre divorziato, accompagnato da un figlio adolescente e una madre sull’orlo della separazione, con una figlia in crisi. Benché breve, il viaggio con dei compagni occasionali diventa un momento di formazione, dal quale, in uno scambio quasi alla pari, i rapporti tra le due donne acquistano maggiore confidenza e fiducia reciproca. In fondo, ambedue soffrono le conseguenze di un tradimento che non può far altro che accresce la loro complicità, lo scambio di segreti ed emozioni come tra due amiche. E sarà proprio questo ad avvicinarle.
Ciò che maggiormente colpisce in “Amnesie” è il disvelarsi dello spirito materno in una figura femminile che si è costruita una corazza di difesa dalla vita e dagli affetti a seguito di un trauma devastante. Economicamente autonoma, avversa a qualsiasi tipo di legame, benché passeggero, la sua sensibilità finisce per emergere non solo dal sopito spirito materno, ma come solidarietà tra donne. “C’è molta fisicità in questo genere di cose…. difficile tenerla sotto controllo […] questione di ormoni, immagino, ma non solo.” Frase cardine di tutto il libro, che ribadisce più nel dettaglio il tema principale. Il racconto, come gli altri, molto accurato nella scelta delle sequenze temporali, riesce a solleticare la curiosità del lettore a voler conoscere la conclusione.
Storia struggente e crudele, quella di “Presenze”. Nell’angosciosa ricerca di una bambina di soli quattro anni misteriosamente scomparsa, l’Autrice coinvolge il lettore nello stesso dubbio della madre circa un presunto ritrovamento, senza però risolverlo, non essendo quello il problema centrale, bensì la perseveranza della commovente convinzione che la bambina sia ancora viva. Guidata dall’istinto materno, combattuta tra l’identificazione di una figura fantasmatica e l’accettazione della perdita a cui la donna non si rassegnerà mai, il lettore realizza che quella ricerca è ormai la sua unica ragione di vita. Notiamo, en passant, che diversamente dalla incrollabile decisione di lei, sarà il padre a cedere, stroncato dalla disperazione.
Ogni vicenda aggiunge un tassello emotivo al mosaico dell’istinto materno nei suoi diversi volti, fino a che troviamo la sintesi del tema principale. Il racconto conclusivo – “Alleanze” – merita un apprezzamento particolare anche per la dovizia di particolari nell’ambientazione fastosa e decadente della villa che è stata teatro della vicenda. Dominata dalla cupezza dell’ombra e dalla diversa luce che emana dalla personalità di ciascuna delle due donne che vi agiscono – la elegante e misteriosa bellezza della madre e la rara magnanimità della governante – il tema centrale giunge a una sintesi del complesso enigma che è al centro del libro: lo spirito materno che si espleta non solo all’interno della famiglia nell’accudimento e nell’amore dei figli, ma nella solidarietà tra donne e nel sacrificio totale di sé.
Dettato dalla sensibilità umana di donna e di madre dell’Autrice, oltre che da una profonda consapevolezza professionale, il libro ha uno stile fluido e mai ricercato, che non risparmia la commozione ed è avvincente, perché ricco di suspence.

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